È la genesi dei Bludeepa, band romana nata nel 2000, dopo i primi anni di sperimentazione, di ricerca e i primi concerti in diverse città italiane. Nel 2002, invece, registrano il loro esordio con L’età inquieta. Nel 2006 tornano in studio per dedicarsi a un nuovo progetto, assieme al produttore Saro Cosentino (già al fianco di Battiato e Massimo Zamboni, già collaboratore di Peter Gabriel). Ne è derivato In assoluta presenza di fragilità (Audioglobe, 2007), sei brani per un totale di ventisei minuti di durata, con la collaborazione di Massimo Zamboni e Nada, grazie al quale partecipano al Roma Rock Festival del 2009, dividendo il palco con Peppe Servillo e Fausto Mesolella degli Avion Travel. Abbiamo intervistato il leader e frontman della band, Danilo Butcovich per conoscere in maniera più approfondita i Bludeepa che a volte si compongono di un cantante, due chitarristi, un pianista, un bassista e un batterista, altre volte no…
Danilo, come nascono i Bludeepa e qual è il significato di questo nome?
Il gruppo nasce nel 2000, ma abbiamo registrato il primo disco solo nel 2002 (L’età inquieta). Avevo la pressante necessità di scrivere e suonare sentimenti, idee di una vita intera. Mi sono guardato intorno e ho coinvolto degli amici musicisti per dar vita a questo progetto. E il nome che abbiamo scelto è Bludeepa: Deepa è una parola sanscrita e vuol dire “luce, luminosità”. È un nome che si dà alle bambine il cui equivalente in italiano sarebbe Lucilla. Blu è scritto in italiano, ma la pronuncia potrebbe essere anche inglese. Si può dire che questo nome rispecchia tre anime del gruppo: quella italiana (la nostra origine), quella inglese (gran parte dell’ispirazione musicale discende da questa lingua, tant’è che molti pezzi hanno una versione inglese) e sanscrita poiché siamo interessati alla cultura, la spiritualità e alla cucina dell’oriente del mondo.
In assoluta presenza di fragilità è il titolo del vostro secondo album che denota una certa sensibilità ma non debolezza. Ci racconti come è nato questo disco?
È una frase di una delle canzoni Buchi Neri. Mi sembrava che avesse una forza infinita. La fragilità è importante, è la radice della forza, intesa come forza vitale. In un mondo che manda messaggi di potenza, di muscolarità, di primato su tutti, di competizione, questa frase mi ha suggerito un altro punto di partenza. Ho imparato negli ultimi anni a essere consapevole delle mie fragilità e di quelle degli altri e a vederle come un’occasione, non come una debolezza.
Qual è il vostro metodo di composizione?
Semplicemente non esiste. A volte compongo un brano partendo da un loop al computer, a volte do un testo a Salvatore Romano e lui pensa alla musica, altre volte compongo una canzone alla chitarra e poi con Salvatore pensiamo a tutto l’arrangiamento, stravolgendo il punto di partenza.
E qual è il vostro background artistico?
Salvatore suona come session man con vari musicisti della capitale e non. Insegna da anni chitarra, arrangia brani per altri artisti. In passato ha suonato, tra gli altri, con Ivan Cattaneo. Io ho un background da batterista e ho suonato in varie band romane; ho scritto per gli Indaco di Rodolfo Maltese (Banco del Mutuo Soccorso); sono andato a conoscere a casa sua Massimo Zamboni (Cccp-Csi) il quale, mezz’ora dopo il mio arrivo, mi ha chiesto di mettere la mia voce nel coro finale di un suo pezzo contenuto in L’inerme è l’imbattibile. Ma forse l’incontro artistico più formativo è stato con Fernanda Pivano, con cui ho passato un po’ di tempo qui a Roma, nella sua casa di via della Longara. Con Fernanda ho discusso di libri, di artisti, della sua vita e dei miei testi. Ricordo una sera, a casa di un amico comune, ero seduto sul pavimento. Lei era seduta, invece, di fronte su una poltrona e ascoltava con un’attenzione che mi ha tolto il fiato. Abbiamo discusso di metriche ritmiche dei testi, ha voluto sentire le canzoni chitarra e voce. Ha letto i miei racconti brevi. Ha espresso le sue opinioni e le sue belle critiche costruttive. Una donna di una vivacità e profondità d’animo impressionanti. Nessuno aveva mai dedicato così tanta attenzione e amorevolezza alle mie cose. È la semplice straordinarietà dei grandi.
Quali sono le vostre influenze musicali?
Molteplici: Pink Floyd, Depeche Mode, Beatles, David Sylvian, Nusrat Fateh Alì Khan, Nine Inch Nails, Peter Gabriel, The Cure, il sound Uk in generale, il mondo delle colonne sonore, Mozart e Bach; ultimamente ho scoperto tre realtà molto interessanti: i Beirut (so che sono in giro da un po’), Micah P. Hinson, WU LYF. E poi c’è la musica italiana: ci piacciono i primissimi Litfiba, De André, i Cccp-Csi-Pgr, Caparezza, Massimo Zamboni, Diego Mancino, i lavori di Saro Cosentino – già produttore di Battiato, Zamboni, Radiodervish e collaboratore di Peter Gabriel – con cui abbiamo avuto l’onore di lavorare per questo disco e che è ora diventato un amico carissimo. Io, inoltre, adoro Fausto Rossi, conosciuto anche come Faust’O. Ma la lista è davvero infinita e non c’è abbastanza spazio o tempo per proseguire.
Un disco che secondo voi non dovrebbe mancare in una collezione che si rispetti
Con tutta la difficoltà della risposta io direi Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Ma davvero ce ne sono almeno altri 50.
I Bludeepa sono artisti impegnati nel sociale… Raccontate qualche vostra esperienza al riguardo?
Ogni volta che ci esibiamo live invitiamo i volontari di Emergency a venire con il banchetto per diffondere materiale e per parlare delle iniziative di questa meravigliosa creatura di Gino Strada. Abbiamo anche suonato a due Emergency Day in piazza Navona, un’esperienza profonda e forte. Sosteniamo poi attivamente un progetto di amici che raccolgono fondi per costruire una scuola in India (potete visitare il sito). Insomma viviamo nella realtà in cui siamo immersi, siamo animali sociali e contribuiamo come possiamo a quello che riteniamo giusto, che ci appassiona. Vogliamo costruire. La musica ci da una mano e si nutre, poi, di tutto questo.
Fate parte di un sottobosco musicale romano davvero molto valido che meriterebbe senz’altro maggiore attenzione. Qual è la tua opinione al riguardo?
A Roma c’è bella musica. Come in tutta Italia. Ma mi sembra ci siano due problemi: è diffusa ormai una cultura da tribute bands e non da gruppi di musica originale; molta gente non ha più senso critico perché non gira più per locali alla scoperta di gruppi emergenti nuovi; forse è pigrizia da tv. E poi: i produttori e gli impresari (termine oramai da pleistocene) non vanno in giro ad annusare l’aria, a sentire cosa succede. Credo che siano scollati dalla realtà, non sappiano più cosa si suona, dove si è spostata la musica. Ora c’è il modello talent (shop), un modello da industria dei dischi, marketing applicato all’arte; niente a che vedere col palco, con le persone, con la musica.
Quali sono le vostre ambizioni?
Comporre, scrivere, suonare dal vivo per far ascoltare il nostro modo di intendere la musica e le parole. Collaborare con altri artisti (di forme d’arte diverse). E sogniamo di avere a che fare con persone appassionate, competenti e non con mediocri, tristi e meschini individui che ti dicono: “Il ritornello non entra dopo 50 sec., non va bene”, oppure: “Ok, ti faccio suonare, quanta gente mi porti?”.
Avete concerti in programma?
Siamo felicemente fermi coi live per il dolce arrivo di Maddalena, la bimba di Salvatore. E anche perché stiamo registrando il nuovo disco Il cielo arma d’amore coloro che non vuole vedere distrutti tra Roma Londra e Milano. Torneremo live da fine settembre.
Per maggiori informazioni potete recarvi sul loro Myspace. Come sempre Vive le Rock!