Se il Popolo della libertà di Parma piange, visti gli scandali che travolgono il sindaco, quello di Bologna non ride. Così ancora ieri sera nell’unico quartiere conquistato dal centrodestra in città alle ultime elezioni comunali, il consiglio circoscrizionale non è riuscito a eleggere il proprio presidente.

Non sono bastate neppure le pressioni giunte da Roma. A votare contro la candidata capolista, designata dal partito, Ilaria Giorgetti cognata del ministro del Welfare, Maurizio Sacconi – sono stati tre consiglieri di quartiere del Pdl: Giuseppe Mioni (da sempre contrario alla Giorgetti, e che già prima delle elezioni si auto-candidò a presidente), ma soprattutto Mario De Dominicis e Marco Alcione, della “corrente” del consigliere comunale Lorenzo Tomassini, il quale, sin dai primi giorni del dopo-elezioni, sta facendo pagare ai vertici del Pdl bolognese il fatto di essere stato escluso da tutte le cariche disponibili in consiglio comunale.

Intanto al quartiere siamo al secondo tentativo per l’elezione. Se alla prossima seduta, entro dieci giorni, i consiglieri Pdl non convergeranno sulla Giorgetti o su un altro nome, i cittadini del Santo Stefano saranno chiamati a elezioni anticipate.

Destino crudele per Ilaria Giorgetti: capolista e designata alla presidenza, spesso è stata accusata di essere stata designata solo per ché parente del ministro, si è ritrovata schiacciata in una lotta tra fazioni interna al partito. Ma lei, in vista del terzo round sembra non voler mollare: “Ho otto colleghi intorno a me, il partito, i consiglieri comunali, sono tutti con me. Non ho paura”. Marco Lisei, il capogruppo del Pdl in consiglio comunale le fa eco: “Da domani inizierà una raccolta firme a sostegno di Ilaria, per dimostrare che tutto il partito la sostiene”.

Tutto era cominciato poco prima dell’insediamento del consiglio, il 17 giugno scorso, quando Lorenzo Tomassini, uomo di punta del Pdl bolognese, aveva iniziato ad attuare la sua guerriglia interna al partito, rivendicando dei posti in consiglio comunale che, a suo dire, sarebbero spettati a lui. Nel partito bolognese, sponda ex Forza Italia, Tomassini ha un cursus honorum di tutto rispetto: candidato vicesindaco alle ultime comunali, secondo più votato con 2.400 preferenze, ex capogruppo in consiglio comunale.

Dopo il voto di maggio, un fiasco per il Pdl bolognese, tutti sono sembrati tramare contro di lui. E non è stata l’elezione a capogruppo dell’ex An Marco Lisei (il più votato del Pdl in città) a farlo imbestialire, pomo della discordia è stato soprattutto l’elezione di Valentina Castaldini (Pdl, in quota Comunione e liberazione, solo quarta per preferenze alle elezioni) alla presidenza dell’unica commissione consiliare disponibile per il partito. Un giochetto che Tomassini ha vissuto come un tradimento. Da qui la vendetta al quartiere.

Tra la seduta del 17 e quella di oggi c’è stato anche il pressing del ministro Sacconi. È stata la pagina emiliano-romagnola de l’Unità, giovedì scorso, a riportare la denuncia di Tomassini. Il capo del dicastero del Lavoro, cognato di Giorgetti, gli aveva fatto pressioni indirette, avvisandolo: o i tuoi votano Ilaria o col Pdl hai chiuso. La dinamica è stata questa: Sacconi ha chiamato Giampaolo Bettamio, vice-coordinatore regionale Pdl, che sua volta ha chiamato Tomassini, cercando di convincerlo e minacciandolo di “tirar fuori lo statuto”, cioè di espellerlo, se non si fosse convinto a votare la candidata prescelta dai vertici del Pdl.

Ma Tomassini non si piega. Il partito del resto tentenna: “Un’eventuale espulsione ci potrà essere solo se si andasse a vuoto anche la terza votazione”, dicono i vertici.

Che cosa succederà ora è difficile dirlo. Se a parole il Pdl sembra puntare ad andare fino in fondo, è difficile immaginare che il partito possa volere le elezioni anticipate. Una via d’uscita potrebbe chiamarsi Beppe Mioni, già presidente nella scorsa breve parentesi tra il 2009-2010. Anche nel 2009 il partito andò alle tre votazioni, complici le divisioni interne tra Fabio Garagnani – coordinatore cittadino e anche oggi come nel 2009, finito sotto lo scacco dei dissidenti – ed Enzo Raisi, colonnello finiano bolognese di spicco. Anche allora Filippo Berselli, numero uno regionale minacciò epurazioni. Ma alla terza votazione, pur di evitare le elezioni anticipate, i voti si indirizzarono proprio sul nome di Mioni.

Nella seduta di ieri sera Mioni (che si vanta di essere stato tra i fondatori dei Club Forza Italia ad Arcore nel 1993) ha chiesto una sorta di conclave, ribadendo che chi vuole le elezioni anticipate è un “mentecatto, un matto”. Del resto, già prima delle elezioni dello scorso maggio, il presidente uscente era stato l’unico a dirsi contrario al nome della Giorgetti, auto-candidandosi anche in virtù della sua precedente esperienza. Allora sembrò l’ennesima mattana di un politico eccentrico. Oggi, pur di salvare l’unica roccaforte ed evitare una probabile sconfitta alle elezioni anticipate, Garagnani e Berselli potrebbero doversi inchinare ancora una volta al vecchio e astuto Beppe Mioni.

Intanto, per tornare a temi molto più “concreti”, il consigliere di opposizione del Movimento 5 stelle, Alberto Pontini ha chiesto in consiglio che la maggioranza eviti un ritorno alle urne: “Costerebbe 100 mila euro”.

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