Fabio Cannavaro e Marco Iorio. Il primo ex calciatore della nazionale, il secondo imprenditore accusato di favorire il riciclaggio della camorra. Il nome del calciatore rientra nel decreto che ha portato al sequestro di 100 milioni euro
Il Gip ha disposto i sigilli “per il 35% delle quote che la società CMA holding e servizi srl, facente capo a Fabio Cannavaro, ha nella società SVEVA srl”. Un intreccio societario tra il capitano della nazionale e il suo socio Marco Iorio, a capo dell’associazione a delinquere e riciclatore dei soldi sporchi del boss Lo Russo, che dura da tempo. “Le indagini hanno evidenziato – si legge nel decreto – che il noto calciatore è da molti anni socio di Marco Iorio con una quota del 10% in gran parte delle società gestite dalla famiglia Iorio”.
Cannavaro, ascoltato dagli inquirenti nel maggio scorso, confermava le partecipazioni: “Fui io a propormi a Marco Iorio, dicendogli che era mia intenzione diversificare gli investimenti. Mi viene chiesto quanto abbia conferito nel momento in cui sono entrato in società con Iorio e rispondo che, per quanto ricordi, ho conferito 150.000 o 200.000 euro, non ricordo con esattezza”. Dopo aver riportato l’interrogatorio del campione del mondo e del suo commercialista, in ordine alla presenza societaria di Cannavaro nelle imprese di Iorio, il Gip Maria Vittoria Foschini, nel decreto di sequestro, conclude: “Alla luce delle dichiarazioni riferite dal commercialista De Vita e della documentazione dallo stesso esibita (schema riepilogativo delle società e corrispondenza telematica con l’indagata Sandra De Caro), può senz’altro affermarsi la sussistenza del fumus circa la fittizietà della intestazione alla società CMA del 35% delle quote della SVEVA srl, quote di fatto appartenenti a Marco Iorio”.
Ma chi è il socio di Cannavaro? Iorio, insieme alla famiglia Potenza, viene definito il promotore ed organizzatore dell’associazione a delinquere. Nelle attività economiche, come quelle di ristorazione in tutta Italia (la catena Regina Margherita e non solo) Iorio e soci impiegavano “denaro proveniente dai delitti di contrabbando ed usura nonché 2.000.000 di euro versati da Salvatore Lo Russo, capo dell’omonimo clan camorristico”. E lo facevano attraverso lo schermo dei prestanome per evitare di incorrere in sequestri e confische dei beni fino all’operazione di questa mattina che ha interrotto gli affari sporchi.