L'immobiliarista bolognese, agli arresti per bancarotta fraudolenta, aveva saputo dal parlamentare del Pdl avrebbe avuto guai giudiziari. Come poi è accaduto
È proprio da quest’ultimo che si deve partire per arrivare a Vittorio Casale. Nella richiesta d’arresto per Papa inoltrata alla Camera dal gip partenopeo Luigi Giordano, si ipotizza che Papa, “nella sua qualità di parlamentare […] e membro della commissione giustizia della Camera dei deputati e della commissione parlamentare antimafia […], avvalendosi della forza d’intimidazione derivante […] dalla rete di contatti e aderenze ad altissimo livello (non solo effettivi e reali ma anche ostentati) […] con appartenenti ai servizi di sicurezza, alti magistrati, esponenti del vertice della guardia di finanza […] ripetutamente intimoriva Vittorio Casale […] rappresentandogli anche che sarebbe stato ‘fortemente attenzionato dalla procura di Milano per la vicenda Bnl’”.
Come se non bastasse, Casale avrebbe saputo che contro di lui sarebbe stato emesso a breve un mandato d’arresto, come in effetti poi è avvenuto. Ma – deve avergli fatto intuire Papa – a ogni problema c’è una soluzione e se avesse dimostrato verso il parlamentare “un atteggiamento amichevole, […] lo avrebbe garantito per tutti i problemi giudiziari”. Quindi “costringeva o comunque induceva Casale Vittorio a conferirgli beni e utilità vari per un valore pari migliaia di euro”.
Secondo quanto ricostruito dai magistrati napoletani, tra gennaio e aprile 2011, per garantirsi da indagini e paventati periodi di carcerazione Casale avrebbe pagato per un paio d’anni l’affitto (1800 euro al mese) di un appartamento che si trova a Roma, in via Giulia 116, in cui vivevano Papa e la sua compagna. Inoltre una società del gruppo Casale avrebbe dovuto stipulare un contratto intestato a un conoscente di Papa e, con soldi provenienti solo delle tasche dell’immobiliarista emiliano, si sarebbe dovuta costituire una società “di cui lo stesso Papa sarebbe stato socio occulto e comunque interessato agli utili”. La società si sarebbe dovuta occupare di “manutenzione di immobili, in particolare nel settore sanitario, subentrando agli appalti aggiudicati a suo tempo originariamente alla Romeo Immobiliare di Alfredo Romeo”.
Vittorio Casale, in proposito, è stato sentito dai pubblici ministeri napoletani titolari dell’indagine, Henry John Woodcock e Francesco Curcio. Il 2 aprile scorso aveva detto: “Io sono un grosso
imprenditore immobiliare e Papa si presenta sempre con un atteggiamento torvo e inquietante comunque evidentemente diretto a incutere terrore nei suoi interlocutori. È per questo che io, ad un certo punto, ho deciso di accontentarlo. Ripeto, la pretesa della casa la avanzò, da subito, appena lo conobbi”. Il 4 aprile successivo Casale ha aggiunto: “Ultimamente, quando ha saputo che io non avevo rinnovato il contratto per la cosa di via Giulia, ha cominciato a pressarmi in maniera ossessiva; dico questo perché mi avrà chiamato trenta volte”.
Il nome di Vittorio Casale compare ancora poi quando i pubblici ministeri si mettono a verificare a beneficio di chi e come Alfonso Papa si fosse dato da fare. Dalla trascrizione dell’interrogatorio dell’avvocatessa napoletana Maria Elena Valanzano, che fu assistente parlamentare dell’ex magistrato, si legge infatti: “Mi chiedete se ero a conoscenza del fatto che la casa di via Giulia la pagasse Casale Vittorio; al riguardo rispondo che non lo sapevo. Mi risulta anche che Papa aveva anche la disponibilità di una villa all’Olgiata dove praticamente viveva con tale ‘Luda’, e cioè con una ragazza dell’Est con lo quale Papa intratteneva rapporti da anni e che poi – tramite Bisignani – ha fatto assumere in Eni”.