Siamo bloccati nelle rivendicazioni territoriali, nei “non a casa mia”, nell’assenza di proposte alternative e, quindi, siamo costretti a vivere in un’Italia che non sa essere una Nazione.

Sono anni che ogni dibattito su nuove infrastrutture, più o meno necessarie, più o meno urgenti, più o meno impopolari, comporta sempre la stessa reazione: i cittadini del luogo che ospiterà l’opera si oppongono, i governanti fanno lo stesso quando hanno paura di perdere voti, chi sta all’opposizione soffia sul fuoco, le parti che hanno interessi economici nella questione spingono per una risoluzione netta e talvolta dolorosa della questione, ignorando anche le più elementari regole della democrazia e del dissenso.

È statisticamente impossibile che le rivendicazioni territoriali siano sempre giuste, così come è altrettanto improbabile che siano sempre sbagliate. Eppure l’Italia ha perso da tempo la capacità di dibattere senza pensare al consenso nel breve termine e, dunque, senza cadere nella trappola della demagogia.

Questa malattia non appartiene a una forza politica in particolare né intendo porre l’accento su un episodio in particolare. Però stiamo assistendo alla contemporanea esplosione di bolle polemiche in ogni zona d’Italia, per motivi differenti e con storie differenti, unite però dalla stessa dinamica plebiscitaria e dall’assenza di dialogo tra le forze politiche e tra decisori e cittadini.

Qualche esempio. Sul nucleare abbiamo assisitito alla guerra tra Governo e governatori, in particolare tra Berlusconi e presidenti di Regione del Pdl e tra Bossi e amministratori del Nord. Il centrodestra si dichiarava massicciamente favorevole al nucleare, ma senza che nessun ‘politico del territorio’ si dichiarasse entusiasta all’idea di ospitare centrali.

Sui rifiuti di Napoli (Comune di sinistra, Provincia di destra, Regione di destra), la Lega si oppone ad accogliere i rifiuti campani; oggi a Fiumicino (provincia di sinistra, Regione di destra) è esplosa la protesta dei cittadini contro l’ipotesi di una nuova discarica.

Sulle trivellazioni petrolifere nell’Adriatico, il ministro Prestigiacomo spinge, la Puglia, il Molise e l’Abruzzo fanno blocco con tanto di ricorsi al Tar e richieste di ritiro della Valutazione d’Impatto Ambientale.

Sulla Tav, il sistema politico invece è largamente favorevole ai lavori per la linea ferroviaria Torino-Lione, ma i cittadini del posto sono organizzati, preparati e determinati come raramente si è visto altrove: una tale distanza di vedute tra amministratori e amministrati, chiunque abbia ragione, è di per sè una sconfitta per la politica.

Queste storie sono accomunate dall’incapacità dei governi di aver dato risposte univoche. Hanno comunicato troppe contraddizioni che hanno poi offerto infinite scappatoie per tutti. In particolare:

un governo federalista prende decisioni senza ascoltare i territori: riempie giornali di spinte autonomistiche e poi non fa decidere ai cittadini, risolvendo il dibattito in consigli dei ministri, manovre, leggi omnibus e voti di fiducia;

un governo in cui le rivendicazioni di parte hanno sempre prevalso sull’interesse generale ha indotto le altre parti a ragionare allo stesso modo come forma di autotutela: se il Nord non vuole il nucleare, allora il Sud non vuole il federalismo; se il Lazio non vuole le discariche, non le vogliono neanche i campani;

– la sfiducia nelle istituzioni è anche la sfiducia nel fatto che le grandi opere infrastrutturali inizino e finiscano nei tempi, senza sprechi, senza sfregi per l’ambiente, senza impatti di lungo termine sulla vita delle comunità, senza infiltrazioni della criminalità. Oramai negli italiani è subentrato il pensiero ‘meglio non iniziare, se non si sa quando finirà’;

L’Italia sarà bloccata, schiava del NIMBY (Not In My Back Yard), fino a quando le decisioni non saranno spiegate ai cittadini. Fino a quando gli italiani non si parleranno tra loro. Fino a quando il capitale sociale non sarà coltivato. Fino a quando la politica non si occuperà di cullare il senso di comunità. Fino a quando gli amministratori non lavoreranno per l’inclusività preferendo l’autoghettizzazione. Fino a quando non si illustrerà all’Italia che lavorare nella stessa direzione favorisce tutti e che gli egoisti, alla fine, perdono.

Fino a quando non saremo una Nazione, e non una sommatoria di mercati elettorali.

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