Torno a Palermo. Torno sempre e in fondo non me ne sono mai andata. Il mio rapporto con questa città ha passato tutte le fasi possibili dell’amore e ora sta in quella di una rassicurante e profonda certezza di chi si sa che non si potrà mai lasciare. Dopo questa premessa romantica eccomi qui a girare a piedi per ore e a ri/scoprire una per una le strade e gli spazi che avevo lasciato giurando che non sarei mai più tornata.
In tutto questo girovagare raggiungo la conclusione che Palermo è come New York: una città che cambia in continuazione. Dicendolo l’altra sera di fronte a una platea di spettatori al cinema Rouge e Noir si è diffuso un sommesso e irrefrenabile riso. Eppure il paradosso non è così paradossale, basta aggiungere che non è detto che il cambiamento sia sinonimo di miglioramento. In questo caso, il mio sguardo da innamorata si poggia su tutti quegli spazi che negli anni in molti abbiamo sperato potessero diventare per questa città contenitori meravigliosi di cultura e sogni. Ad esempio i Cantieri Culturali della Zisa, luogo simbolo della Palermo orlandiana, dove ho girato due dei miei film tra cui Tano da Morire, vivono ora un abbandono impressionante. Tra le sterpaglie e la ruggine si stendono per chilometri possibili spazi che in qualsiasi città cosciente darebbero linfa vitale ad artisti e creatori di cultura. C ‘è addirittura un cinema inaugurato e poi chiuso per sempre. C’è la sensazione di un costante spreco di un’occasione perduta giorno dopo giorno.
E c’è quindi una domanda semplice: perché? Come si fa a non rendersi conto di quanto la cultura possa portare a una città? Non parlo ora di arricchimento spirituale ma anche e più prosaicamente di quello economico. Il cinema in Sicilia non ha teatri di posa per esempio. Eppure li avrebbe in questo luogo, da cui potrebbero transitare tutti quelli che vengono a girare da fuori, producendo lavoro ed economia. Il problema pare sempre quello, in Italia, di non riuscire a coniugare cultura ed economia. Perché l’arte continua a essere slegata dal profitto? La Bellezza ci consola e nel Rinascimento l’artista esisteva grazie al suo mecenate che comprendeva il valore del talento e lo quantificava economicamente. In quest’epoca, in quest’Italia il teatro, il cinema che non sia solo intrattenimento e la cultura in generale sono relegate a ruolo di grandi scocciatrici per cui nessuno intende investire, un progetto che contenga la parola arte in sé odora già di miseria, buco nero in cui riversare pochi spiccioli.
Ma come siamo arrivati a un immaginario tanto povero? Chiudere teatri e abbandonare alle sterpaglie spazi preziosi è sintomo della crisi che stiamo attraversando. Dobbiamo cambiare l’immaginario di questa Italia e dobbiamo farlo prima che sia troppo tardi.