Il popolo marocchino è chiamato oggi ad esprimersi sul nuovo progetto di Costituzione, proposto dal giovane re Mohamed VI, che gode della fama di “modernizzatore”, per aver introdotto in Marocco, negli ultimi anni, una serie di riforme politiche e giuridiche di stampo liberale, in contrasto con la linea politica tradizionale del padre, re Hassan II.
Ma come si è arrivati a questa riforma costituzionale? Quali cambiamenti introduce nell’assetto politico-istituzionale del Marocco?
Innanzitutto bisogna subito chiarire che la riforma non è nata per impulso del re. Al contrario, egli in qualche modo l’ha subìta, ma allo stesso tempo ha cercato di governare l’intero processo, concedendo qualcosa per evitare che il conflitto sociale in atto possa crescere e travolgere l’attuale sistema di potere. Il movimento “20 febbraio” – che raggruppa al suo interno studenti, associazioni per i diritti e alcuni partiti della sinistra marocchina – occupa, infatti, da diversi mesi, le piazze di diverse città del Marocco, rivendicando riforme istituzionali in senso democratico e anche maggiore eguaglianza sociale.
Occorre specificare, però, che il movimento marocchino non assomiglia (al momento) – né per quantità né per qualità – al movimento tunisino o a quello egiziano, che sono portatori di istanze politiche e sociali decisamente più radicali e che ancora oggi non smettono di infiammare le piazze (con buona pace degli analisti occidentali che, affrettandosi a fornire un’immagine caricaturale di tali rivolte, definendole in modo spregiativo con espressioni come “la primavera araba” o “la rivoluzione dei gelsomini”, faticano ora a comprendere e a interpretare ciò che lì accade. Stupisce, infatti, come possa definirsi “rivoluzione dei gelsomini” quella egiziana che, finora, è riuscita a cacciare un feroce dittatore come Mubarak e a mandare in galera circa 6.ooo membri della cerchia di potere del dittatore. Si immagini, solo per ipotesi, se una cosa simile accadesse in Italia. Chi avrebbe il coraggio di chiamarla “rivoluzione del basilico” senza rasentare il ridicolo?). Ma, ciononostante, il timore del “contagio rivoluzionario” ha ugualmente indotto il re Mohamed VI ad annunciare, il 17 giugno scorso, con un discorso alla nazione, una nuova e più democratica costituzione, da formulare e discutere in modo democratico.
In realtà, nulla di tutto ciò si è verificato. La commissione incaricata a redigere la nuova Costituzione è stata nominata dal re ed era composta da persone che non possono di certo dirsi espressione dei partiti o delle forze sociali che in questo periodo hanno espresso il loro dissenso politico. Inoltre, la Commissione ha concesso ai partiti politici soltanto 24 ore per preparare delle osservazioni, peraltro non vincolanti. Una volta redatta la bozza della nuova Costituzione, al popolo marocchino sono state concesse non più di due settimane per prenderne visione e decidere se approvarla. Il referendum di oggi prevede, per di più, soltanto la possibilità di approvare l’intero progetto di Costituzione, senza contemplare l’ipotesi di approvazione di ogni singolo articolo.
E’ evidente che la nuova Costituzione rientra pienamente nella logica delle “costituzioni concesse”, che nulla hanno da spartire con il cosiddetto “stato di diritto”. Nella nuova bozza di Costituzione, inoltre, a parte qualche timida concessione in tema di diritti civili, il potere esecutivo resta ancora saldamente nelle mani del re: spetta al re, infatti, nominare il primo ministro (art. 46) a condizione, questa volta, che egli sia membro del partito più votato alle elezioni parlamentari; è il re che dirige il consiglio dei ministri (art. 48), anche se ora è prevista la possibilità che, talvolta, possa anche delegare altri. Il re è sempre il comandante delle forze armate (art. 53) e nomina il personale militare. Anche il potere legislativo e giudiziario, per quanto timidamente attenuato, è ancora nelle mani del re, il quale presiede ogni anno la sessione di apertura del parlamento (art. 65) e può sciogliere le camere (art. 51). È ancora il re che approva le nomine dei giudici (art. 57), che può concedere la grazia (art. 58), che presiede il consiglio superiore della magistratura (art. 56), il consiglio della sicurezza nazionale (art. 54) e che può dichiarare lo stato di emergenza (art. 59).
Scorrendo gli articoli del nuovo progetto di Costituzione, si può facilmente notare che nessuna misura per ridurre o combattere le disuguaglianze sociali è stata introdotta. Nessuna risposta, dunque, alle istanze di uguaglianza sociale in un paese attraversato da una forte crisi economica. Le associazioni e le forze politiche che compongono il movimento “20 febbraio” hanno denunciato, quindi, l’inganno e hanno fatto appello alla popolazione per il boicottaggio del referendum.
Dal fronte europeo, invece, ad esprimere il pieno appoggio al testo della nuova Costituzione marocchina sono intervenuti il re di Spagna, Juan Carlos I, e il presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy, il quale ha valutato la riforma costituzionale marocchina come un passo avanti per “completare la costruzione dello stato di diritto e delle istituzioni democratiche“. Proprio come aveva elogiato Ben Ali, nel 2008, per i progressi compiuti nel campo delle libertà e dei diritti.