Ventuno tappe, 3430 chilometri. E una gara che sembra già appaltata al ciclista spagnolo - su cui pende il giudizio del Tribunale sportivo di Losanna - che ha vinto tutte e sei le ultime corse a tappe cui ha preso parte
Di lui si dice che sia un campione, un fuoriclasse, un numero uno per talento e classe. Dove arriva lui, di solito, gli altri non arrivano o arrivano dopo. Tuttavia, si dice anche che la sua bravura negli ultimi tempi sia stata annacquata da alcune scelte che non piacciono troppo a chi segue lo sport pulito, tutto fiato e sudore. Alberto Contador, lo spagnolo che fa tremare le gambe dei suoi avversari ormai da alcuni anni, il primo della classe quando si parla di gare con la bicicletta, si presenta al Tour de France che comincia domani con un carico di sospetti e di mugugni che non lasciano indifferenti nemmeno i corridori della domenica, che delle corse con le due ruote sanno poco o nulla.
Sei su sei. Contador ha vinto le ultime sei competizioni a tappe alle quali ha partecipato. Il suo ruolino di marcia fa impressione per qualità e quantità. In bacheca, il corsaro spagnolo ha accumulato un tesoro da far invidia ai campioni del calcio. Tre Tour de France, due Giri d’Italia e una Vuelta, la corsa a tappe della terra della paella. Arriva dalla vittoria all’ultimo Giro d’Italia, tre settimane di saliscendi che metterebbero al tappeto chiunque. E ha deciso di provare la scalata anche al trofeo francese, perché per entrare nella storia occorre essere protagonisti di imprese che sfiorano la leggenda. Per capirci, è dal 1998 che un ciclista non vince lo stesso anno Giro e Tour. Ci riuscì Marco Pantani, e prima di lui Fausto Coppi, Miguel Indurain, Eddy Merckx, Stephen Roche, Jacques Anquetil, Bernard Hinault. Vale a dire, il best of del ciclismo di tutti i tempi. Contador ci prova, anche se potrebbe correre a vuoto.
Già, perché su di lui grava un giudizio in sospeso del Tas di Losanna, che nelle prossime settimane dovrà stabilire se siamo di fronte all’ennesimo caso di atleta dopato, oppure no. Contador venne fermato nel luglio dello scorso anno perché il suo sangue conteneva una sostanza che non avrebbe dovuto esserci, il clenbuterolo, che è stato inserito nell’elenco dei farmaci vietati dalla giustizia a due ruote. Lui attribuì la colpa ad una bistecca di vitello che mangiò poco prima del controllo. Da allora, lo spagnolo dice che ha bandito la carne di qualsiasi tipo dalla sua dieta. La federciclismo spagnola gli ha creduto e gli ha permesso di continuare a correre senza alcun tipo di problema. Mentre l’Unione ciclistica internazionale e l’Agenzia mondiale antidoping hanno fatto ricorso al Tribunale d’arbitrato sportivo (Tas) per chiarire la vicenda. Nel frattempo, Contador ha messo in tasca un Tour de France e il recente Giro d’Italia. Per la gioia di tutti coloro che non credono alla sua buona fede e che vorrebbero vederlo condannato come tutti i ciclisti che sono stati pizzicati con le mani nella marmellata. Pensate lo smacco. Vincere il Tour de France dopo tre settimane di sforzi indicibili e dopo qualche giorno vedersi ritirare il titolo per una causa che risale all’anno precedente.
Contador è il favorito indiscusso alla vittoria finale, lo dicono tutti, anche i suoi colleghi più agguerriti, che si danno delle chance soltanto se lo spagnolo dovesse accusare la stanchezza del Giro. Ciò detto, è corretto dare credito ai corridori che hanno i numeri per non farsi prendere per il naso dal campione di Madrid. Alcuni nomi, il britannico Wiggins, il lussemburghese Andy Schleck, che nel tour 2010 arrivò dietro a Contador di una manciata di secondi, e i due italiani Basso e Cunego, che si sono detti pronti a dare battaglia all’asso spagnolo finché avranno il carburante per stargli dietro ed approfittare dei suoi eventuali momenti di flessione. Una questione a cinque, dunque, che rischia di provocare sbadigli grossi così anche ai tifosi più accaniti. Che va bene il piacere di seguire tappa per tappa le vicende dei propri beniamini, ma pure le sorprese e l’imprevedibile hanno la loro importanza. Soprattutto, se si sceglierà di non prendere l’auto e di passare il confine per vedere il Tour a distanza di naso ai bordi della strada.
Si comincia domani da Passage du Gois – Mont des Alouettes, tappa numero uno di un percorso che porterà i corridori a pedalare in lungo e in largo per la Francia con il contachilometri che a fine corsa segnerà 3.430 chilometri. L’ultima tappa, la ventunesima, vedrà il gruppo sfilare il 24 luglio davanti alla folla dei Campi Elisi di Parigi, per l’applauso che per molti dei partecipanti vale una fatica al limite dello sfinimento. In mezzo, una capatina in Italia, a Pinerolo, che tra il 20 e il 21 luglio saluterà il Tour come si conviene ad un ospite di riguardo.
di Dario Pelizzari