Il prossimo sei luglio l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni, varerà una delibera contenente lo schema di un nuovo regolamento relativo alla tutela del diritto d’autore in Rete. Il contenuto del provvedimento che l’Agcom si avvia ad adottare è, salvo novità dell’ultima ora, ormai noto: l’Autorità intende attribuirsi il potere di ordinare la rimozione dal web di qualsiasi contenuto che terzi le segnalino come pubblicato in violazione dei diritti d’autore senza neppure ascoltare le ragioni dell’utente produttore e uploader del video. Una procedura straordinariamente sommaria, veloce ed efficace, almeno per chi abbia interesse alla scomparsa di un contenuto audiovisivo dallo spazio pubblico telematico.
L’iniziativa dell’Autorità si inserisce – e sul punto occorre riconoscere a Cesare ciò che è di Cesare – nel perverso programma del ministro Paolo Romani di progressiva trasformazione del web in una grande tv, avviato nel marzo del 2010 con il varo dell’ormai celebre “Decreto Romani”, attraverso il quale, con la scusa di attuare una direttiva dell’Unione europea, si è realizzata un’equiparazione pressoché integrale della disciplina relativa alla diffusione di contenuti audiovisivi online a quella preesistente, vecchia, obsoleta e, soprattutto, anti-pluralista della vecchia tv. Il motto è stato: c’è qualcosa che si muove dentro uno schermo… non può che essere una tv!
Oggi Agcom, alla quale il Governo – con un comportamento a dir poco pilatesco – aveva, a suo tempo, affidato il compito di dettare le regole per la tutela del diritto d’autore in relazione ai servizi media audiovisivi, si avvia a raccogliere, idealmente, il testimone del ministro Romani e, anzi, rilancia: l’intenzione degli uomini del presidente Calabrò (e soprattutto di Lorsignori della maggioranza) è, infatti, quella di non limitarsi a dettare le regole per i fornitori di servizi media audiovisivi italiani ma di spingersi a varare una nuova disciplina applicabile alla tutela del diritto d’autore ovunque e comunque nello spazio pubblico telematico italiano come americano o, piuttosto, indiano.
Sta per accadere così – come se non bastasse nell’ambito di una partita giocata completamente al di fuori del dibattito parlamentare e lungo l’asse Governo-Autorità Amministrativa – che, nel 2011, in modo del tutto anacronistico, in Italia, si voglia trasformare la Rete in una televisione, affidando la predisposizione e il controllo del “palinsesto” a un manipolo di manager politici e politici manager, ovvero ai commissari Agcom, agli uffici alle loro dipendenze e a quanti nel Palazzo – come peraltro raccontato in alcune non più recenti intercettazioni – li controllano e da loro esigono il rispetto che si deve a chi ti ha trovato una poltrona che vale un mucchio di soldi e altrettanti benefits.
Sarebbe impossibile da raccontare a un ragazzino nativo digitale, per sua fortuna, non italiano, ma cosa potrà “andare in onda” e cosa no nell’Internet italiana tra poco lo decideranno gli stessi uomini che, sin qui, hanno detto l’ultima parola – con risultati sotto gli occhi di tutti – sui palinsesti dei canali del colosso dell’intrattenimento commerciale Raiset. Quel video satirico postato su YouTube offende la virilità e l’amor proprio del premier? Non c’è problema. Basta segnalare all’Autorità che contiene 15 secondi di musica di sottofondo degli anni ’70 o che utilizza un’immagine appartenente al repertorio del fotografo ufficiale di Corte per ottenerne la rimozione!
L’Agcom, insomma, vuole stringere saldamente nelle mani il tele-comando del Paese e questo, in un Paese che soffre da decenni le conseguenze del tele-potere, è davvero inammissibile. Internet è uno spazio pubblico di informazione sovrannazionale che appartiene solo ai cittadini e non la si controlla con il tele-comando di Stato.