Nel giro di pochi giorni mi sono trovato a passare per Bari, Napoli ed Atene partendo da Palermo. Ad Atene sono giunto nel pomeriggio dell’approvazione delle misure di bilancio funzionali al salvataggio finanziario. Nell’autostrada che collega il grande (ed efficiente) aeroporto alla città, campeggiavano cartelloni pubblicitari, tutti rigorosamente liberi, che ricordavano quelli della crisi italiana dei primi anni Novanta: ricordate il test pubblicitario con il bambino e la scritta “Fozza Italia“?
Dalla terrazza dell’albergo ho potuto subito ammirare l’acropoli, alla mia sinistra, e, sul largo viale alla mia destra, gli scontri tra manifestanti e polizia riportati in tempo reale su tutti i Tg: una pagina di storia
contemporanea vissuta al cospetto di uno dei maggiori monumenti del mondo antico, una pagina dolorosa di democrazia all’ombra della sua culla.
C’è qualcosa però che non quadra: Atene si presenta come una città pulita e ordinata, bassa criminalità, dispone di mezzi di trasporto pubblico addirittura esagerati come l’elegante metropolitana con pareti in marmo (italiano, dicono) e i tram firmati Pininfarina, il porto del Pireo conferma un’egemonia, nel settore dello shipping, che dura ormai da quasi tremila anni, le linee di navigazione interne sono in utile mentre le aviolinee interne danno punti alla nostra decaduta compagnia di bandiera, l’inglese è la seconda lingua degli operatori commerciali e turistici…
Penso, per contrasto, al decoro urbano di città come Napoli e Palermo (Bari, per sua fortuna, è in controtendenza) dove ragazzi volenterosi improvvisano azioni di guerrilla gardening per supplire alla latitanza di chi sarebbe tenuto (e pagato) per curare strade e giardini pubblici, alle discariche improvvisate ovunque senza più ritegno, alle fallimentari compagnie di navigazione come Tirrenia e Siremar, alla trasandatezza come stile di vita, all’insegnamento obbligatorio della lingua e letteratura siciliana recentemente approvata a Palazzo dei Normanni…
Ad Atene le misure adottate prevedono, tra l’altro, il taglio di 150mila dipendenti pubblici: pare sia solo l’inizio. Chiedo in giro la causa di questo disastro e la risposta è univoca: la corruzione e le false promesse della
politica.
Nello stesso tempo apro le pagine della stampa locale di Palermo e leggo le dichiarazioni del sindaco Cammarata che annuncia soddisfatto che ha finalmente ottenuto da Berlusconi 45 milioni attinti ai fondi Fas per mandare avanti la Gesip, il contenitore del precariato palermitano, per altri nove mesi fino alle prossime elezioni: con un grazie particolare a Schifani, Romano e Alfano che “si sono battuti come leoni” per ottenere tale stanziamento. Ecco un esempio lampante di corruzione e false promesse: utilizzo di fondi pubblici (Fas), ideati per ben altri scopi, in chiave clientelare-elettoralistica, con la scusa delle ragioni di ordine pubblico.
Passeggiando per l’Acropoli non ho bisogno di invocare gli spiriti dei padri della democrazia in cerca di conferme: mi basta ricordare Giorgio Gaber per affermare amaramente che una certa genia di politici siciliani – e non –
rappresentano gli insuperati attori di “quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia”.