La brutta vicenda della fabbrica Verlicchi, a Zola Pedrosa, alle porte di Bologna, portata al fallimento da una proprietà inetta, ha occupato per settimane le pagine dei giornali della nostra città: vicenda emblematica, marchio prestigioso dei telai per moto, fornitrice di primarie case costruttrici, ridotta sul lastrico da scelte sciagurate dell’ultimo discendente della dinastia Verlicchi, un tempo orgogliosa espressione dell’imprenditorialità bolognese, nata dall’industriosa classe operaia che aveva creato da abili operai, eccellenti artigiani e poi capitani d’azienda.
Una fabbrica ancora produttiva, con macchinari di prim’ordine e maestranze qualificate, condotta ad una cessione aziendale per lo meno dubbia ad una società inesistente, gli operai avevano difeso con le unghia e con i denti la loro fabbrica, i loro macchinari che volevano essere smontati nottetempo e forse svenduti a chissà chi.
Di tutto questo si è parlato sui giornali e televisioni locali fino a maggio scorso, sottolineando il coraggio e la determinazione degli operai e dei tecnici Verlicchi per difendere la fabbrica ed il loro diritto al lavoro ed alla dignità.
Da alcuni mesi, forse per la pausa elettorale, forse per i referendum, nessuno si occupa più della Verlicchi, il silenzio è calato sulla vicenda che vede all’opera un commissario liquidatore della società che sta cercando di salvare capra e cavoli, ma dove sono gli operai della Verlicchi? Sono ormai dei fantasmi… vivi.
M’è capitato d’imbattermi in alcune storie personali che riporto senza citare i nomi veri per rispetto della vita di queste persone senza lavoro, anch’essi piombati come tanti altri nell’anonimato perché così succede quando i riflettori si spengono.
Maria e Giuseppe che ci lavoravano insieme hanno visto la loro vita precipitare da un giorno all’altro: hanno perso, oltre al lavoro l’affidamento ormai prossimo di un figlio, non possono più far fronte al mutuo della casa e devono ricorre all’aiuto della famiglia, lui ha trovato un’occupazione temporanea, se così si può dire, nella distribuzione della pubblicità nelle cassette della posta, lei fa le pulizie in casa d’altri.
Il lavoro è sempre nobile ma per chi ha una professione e le competenze per svolgere ruoli tecnici, è drammatico doversi piegare ad attività marginali.
Stefania non ha potuto pagare il funerale del padre e l’ha aiutata il Sindaco del suo Comune, c’è chi non regge più l’affitto e torna a casa dai genitori o da parenti.
Gli operai non hanno mollato e si ritrovano davanti alla fabbrica per presidiarla e per mantenere un contatto umano, ma quant’è difficile conservare la propria dignità quando non si ha più una funzione sociale riconoscibile, l’oblio è calato sulla loro vicenda.
Forse le famiglie e le parrocchie aiuteranno come possono ma è inaccettabile l’insensibilità generale di fronte a questi drammi, l’informazione si sofferma quotidianamente sui fatti di cronaca e di costume, omicidi, drammi della gelosia, il “pericolo” degli immigrati ci vengono propinati ogni giorno come la medicina per aumentare le nostre paure, al contrario non si parla delle sofferenze vere della gente, nessuno descrive cosa significa diventare poveri perché si perde il lavoro e senza colpa alcuna, è come mettere la “spazzatura” sotto il tappeto per non farla vedere.
Infatti è difficile dare risposte a questi problemi, così diventano drammi individuali da vivere privatamente, mentre la responsabilità sociale è enorme perché innanzitutto i governi i partiti ed i sindacati dovrebbero rispondere di quel che succede dopo e dietro le quinte di una vicenda come la Verlicchi, essa riguarda tutti noi.
E’ da augurarsi che nessuna vicenda di crisi venga abbandonata a se stessa, indipendentemente dalla soluzione specifica; abbiamo bisogno di ritrovare il senso della solidarietà sociale e della comunità; occorre che chi ha di più sostenga con giuste tasse coloro che non hanno e lo Stato deve preoccuparsi di aiutare chi è in difficoltà a trovare nuove soluzioni di lavoro per conservare la sua dignità, questa è una società degna.