Da due giorni, i circa sessanta dipendenti della Acque Rionero, azienda lucana che imbottiglia le acque minerali della società “Cutolo Michele e figli”, sono senza lavoro. Quella che a prima vista può sembrare una normale storia di crisi economica, con imprese che chiudono e lavoratori che rimangono a casa, in realtà è molto più complessa. Almeno secondo gli ex operai dello stabilimento di Atella (Potenza), che sostengono come dietro alla cessazione delle attività (e al licenziamento collettivo) si nasconda un trucco della vecchia proprietà per continuare a imbottigliare e commercializzare l’acqua senza pagare né creditori né dipendenti. Perché, dicono i dipendenti, gli stabilimenti hanno cambiato spesso padrone e assetto societario, continuando ad accumulare debiti su debiti, ma dietro tutto c’è sempre la famiglia Cutolo.
Anche per questo motivo i lavoratori hanno rifiutato il piano industriale proposto dal trust spagnolo Blak Diamond che si è fatto avanti per rilevare l’azienda in crisi. Per dare il loro via libera, gli operai chiedono maggiori garanzie, a partire dalla ricollocazione dei lavoratori. Ma soprattutto vogliono il rinnovo dei vertici aziendali, responsabili, secondo loro, del fallimento di quella che era una delle imprese storiche della Basilicata. “Non vogliamo che sia l’ennesima operazione per consentire ai Cutolo di continuare a dettare legge nello stabilimento, dato che sono loro i primi responsabili del fallimento dell’azienda, del mancato pagamento delle nostre buste paga e degli oneri previdenziali”, attacca Salvatore Bochicchio, uno dei lavoratori lasciati a casa.
La finanziaria iberica si è fatta avanti dopo che Paninvest, società detentrice del pacchetto di maggioranza di Rionero, ha annunciato la chiusura. Dopo soli cinque mesi dallo start up, quando, mediante il fitto di un ramo d’azienda, ha rilevato le attività storicamente svolte dalla famiglia Cutolo, titolare delle concessioni regionali per l’estrazione dell’acqua.
Ma la storia dell’azienda, che imbottiglia i marchi Cutolo, Santa Maria degli Angeli, Visciolo e La Francesca, è molto più vecchia. Una vicenda di debiti con le banche sempre maggiori, ma soprattutto di stipendi e imposte non pagati. L’inizio risale almeno al 2005, quando, a fronte di una situazione di indebitamento sempre maggiore, con gli istituti di credito che stanno per chiudere i rubinetti, la Cutolo e Figli costituisce la Acque Rionero. Alla società va tutto il ramo commerciale, mentre le attività minerarie (e l’imbottigliamento) continuano a essere fatte dalla vecchia società.
Passano gli anni e la situazione va sempre peggio. Come raccontano gli operai, Equitalia intraprende procedure esecutive per oltre 4 milioni di euro, arrivando a pignorare le linee di produzione. Fra cassa integrazione straordinaria a rotazione, ritardi nei pagamenti e scioperi, si arriva fino a gennaio-febbraio del 2011, quando il 51 per cento della Rionero viene acquisito dalla Paninvest. La “nuova” azienda, mediante il fitto del ramo d’azienda, rileva le attività minerarie e assume tutti i lavoratori della Cutolo che di fatto diventa un contenitore vuoto. Ma le bottiglie che escono dagli stabilimenti portano sempre lo stesso marchio: Cutolo ovviamente.
Anche con la nuova gestione, le cose non migliorano, con frequenti scioperi da parte dei dipendenti ai quali continua a non essere corrisposto lo stipendio. Ma non solo: gli operai riferiscono che l’azienda si rende protagonista di comportamenti antisindacali. “Hanno assunto dei lavoratori interinali – denuncia Bochicchio – per fare il nostro lavoro mentre noi eravamo in sciopero e poi hanno assoldato dei buttafuori con il preciso compito di intimidirci”. Ma soprattutto, raccontano i dipendenti, l’azienda fa il proprio lavoro senza essere in possesso delle necessarie autorizzazioni amministrative e igenico-sanitarie. Acque Rionero imbottiglia l’acqua senza essere la detentrice della concessione che è ancora intestata alla vecchia proprietà. “E’ perché Rionero è gestita in tutto e per tutto ancora da Cutolo – attaccano i dipendenti –. Paninvest pur essendo socio di maggioranza, è poco più che uno specchietto per le allodole”.
Nonostante un tentativo di mediazione della Regione Basilicata, l’azienda continua a non pagare gli stipendi e il 26 maggio scorso gli operai scendono di nuovo in sciopero montando un picchetto davanti ai cancelli. Da lì a pochi giorni l’annuncio della cessazione delle attività e il licenziamento di tutti e 55 i dipendenti.
Sullo sfondo della vicenda ci sono le autorizzazioni per l’estrazione e l’imbottigliamento della materia prima, l’acqua, che come risorsa pubblica è di proprietà dei cittadini e viene data dalle amministrazioni locali “in concessione” alle aziende che intendono commercializzarla. La regione Basilicata non ha mai revocato le autorizzazioni, nonostante la Cutolo, non pagando gli oneri concessori per anni, abbia maturato un debito con l’ente pari a 600mila euro. “Sarà perché fino al 2010 l’amministratore delegato di Cutulo è stato Nicola Pagliuca – sottolineano i dipendenti – leader della colazione di centrodestra e consigliere regionale”.
Il 7 luglio al tribunale di Melfi ci sarà l’udienza fallimentare e se la famiglia Cutolo non riuscirà a presentare un piano industriale credibile, è probabile che la Regione sarà costretta a sospendere le concessioni minerarie. E gli operai? Entro il 20 luglio è previsto un tavolo per concordare la retribuzione arretrata e la liquidazione. Nel frattempo, denunciano gli ex lavoratori che sono ancora in presidio davanti ai cancelli dello stabilimento, i camion continuano a entrare e uscire dall’azienda: “Sembra che l’attività continui regolarmente”. Qualcuno parla pure di provocazioni. Racconta Bocchiccio: “Ieri si è presentato Michele Cutolo (ex proprietario, ndr) ed è venuto al tendone con il preciso intento di sfotterci”. Oltre al danno, la beffa.