C’è chi sa solo di calcio. E chi è convinto che chi sa solo di calcio non sa nulla di calcio. Pep Guardiola appartiene al secondo schieramento. Non foltissimo, per amor del vero. Lui è una sorta d’artista a tempo pieno. Nella brutta stagione con il suo Barςa crea opere di commovente bellezza. E sotto il sole che fa? Manco gli passa per la cabeza di andare a Formentera a spaparanzarsi davanti ai paparazzi. No, lui si mette a fare il family man per le città d’arte toscane.
Nelle ultime ore è transitato per Siena, visita al Palazzo Comunale, lunga sosta nella Sala Mappamondo e nella Cappella, poi lo spettacolo del Palio. Ha visto, annusato, preso appunti. E’ affamato di conoscenza il Pep. Sa che da noi può immergere i suoi occhi scuri in un pozzo di meraviglie. E’ anche in questo aspetto che esibisce la sua diversità.
Si muove nel mondo con la stessa soavità di un personaggio ivoryano. E’ identico al suo calcio, nessun orpello, solo eleganza leggera, nei fraseggi sulla trequarti, nelle sue voglie da intellettuale. Non è un caso che in patria l’intellighenzia sia pazza di lui. Anche quella di collaudata fede madridista. Javier Marías detesta Mourinho (“uno sciamano da sagra”) e considera Guardiola il simbolo del suo nostalgico “recupero settimanale dell’infanzia”. Lo scomparso Manuel Vázquez Montalbán, ultrà del Barcellona, lo elesse a bandiera del nazionalismo catalano.
Il Pep piace a tutti, perché ha tutto per sedurre. Il problema è semmai come può fare il nostro calcio per intrigare uno così. Forse conviene puntare tutto sul patrimonio artistico. Inventarsi, che so, un Guardiola alla Sgarbi, libero di svegliare all’alba custodi e parroci per impadronirsi di musei e chiesette sperdute lungo tutto lo stivale. Moratti, o chi per lui, cominci a studiare la cosa con le istituzioni competenti. Meglio lasciar perdere lusinghe milionarie o velleitari progetti tattici. Il Pep, sotto quel profilo, si è già lautamente saziato.