La ‘ndrangheta e gli affari. A Milano come a Brescia. A dimostrarlo una complessa indagine della distrettuale antimafia che lega compari e malaffare con insospettabili livelli imprenditoriali ed istituzionali tra la Franciacorta e la Valtrompia.
A testimoniarlo, tra gli altri, Marco C., un autotrasportatore della Franciacorta, che ha da poco venduto gran parte dei suoi camion e che ora, a 65 anni, si prepara ad andare in pensione. “Di nomi non ne faccio – dice – perché i carabinieri mi hanno detto che le indagini sono ancora in corso, anche se qualcuno è già finito in carcere… Ma il sistema ve lo racconto volentieri”. Ci vogliono spalle larghe e l’aspetto poco accondiscendente per fare il camionista e stare nella legalità, nel movimento terra in Lombardia. E il nostro ha, come si dice, il fisico giusto: un bresciano piantato, un armadio che sa come va il mondo.
Nel luglio del 2009 è andato a raccontare ai carabinieri che c’era chi, delle sue parti, dava lavoro a gente poco raccomandabile. Lui era un padroncino: uno che coi suoi camion si offriva al miglior offerente per ottenere qualche sub-appalto e cercare di stare in piedi in una realtà sempre più difficile. Questo per colpa di chi gioca sporco e che trova sponda da parte delle grandi aziende.
L’autotrasportatore della Franciacorta, stufo dei continui soprusi, ha denunciato scarichi abusivi, nelle cave e nei cantieri. L’inchiesta della Dda bresciana s’è così arricchita anche del suo contributo, e l’indagine che vuol far pulizia nel mondo delle costruzioni e degli appalti – sia pubblici che privati – è potuta andare avanti. Della criminalità organizzata si vuole stanare la manovalanza, ma pure chi, per avidità economica, a quella sta spianando la strada a un livello superiore.
La titolarità dell’indagine è del Pubblico ministero Silvia Bonardi, che tiene tutto scrupolosamente secretato. Ma lo scorso maggio, il Procuratore capo di Brescia, Nicola Pace, s’era fatto sfuggire qualche dettaglio durante la visita della Commissione bicamerale d’inchiesta sulle ecomafie. “Sono undici – aveva detto – i casi di illeciti connessi al ciclo dei rifiuti seguiti dalla Dda”. Per poi aggiungere: “Le cave e le grandi opere stradali rappresentano una ghiotta occasione per lo smaltimento dei rifiuti”.
Pace spiega che l’anello debole sta nei subappalti e nel solito sistema del massimo ribasso. Secondo questa logica anche le aziende più insospettabili aprono le porte a personaggi conniventi con la criminalità organizzata, così come segnalato da Marco in Franciacorta. La persona che lui ha denunciato si chiama Giuseppe Romeo. Questi è un calabrese di 46 anni, con un’azienda ad Agrate Brianza. Ma nei registri della Direzione nazionale antimafia lo stesso è rubricato come “interno alla cosca Morabito, Bruzzaniti e Palamara di Africo, in provincia di Reggio Calabria”.
Oggi Romeo si trova in carcere. È in attesa di processo e su di lui pesa l’accusa di associazione mafiosa. È stato uno dei 35 arrestati nell’operazione “Redux – Caposaldo”, condotta lo scorso marzo dalla Dda di Milano. Oggi le carte di quell’inchiesta sono arrivate sulla scrivania della Bonardi. Romeo aveva intimato a “quello della Franciacorta” di lasciar stare; di non occuparsi del fatto che qualcuno gli desse da fare del “lavoro sporco”. Poi lo aveva avvertito di non farsi mai più vedere sui “suoi” cantieri: “Perché io quando minaccio una persona minaccio – gli aveva urlato al telefono Romeo – e se ho un problema con uno vado a casa sua, lo trovo e me la chiarisco. Subito, subito…”
La Bonardi ha per le mani un’inchiesta complessa. La ‘ndrangheta non conosce confini, ecco perché all’ombra della Loggia stanno leggendo le carte di Milano. In più il bresciano è un territorio vasto e dalle molte sfaccettature. Le indagini oggi interessano la Franciacorta e l’hinterland del capoluogo. Qui sono partiti, o stanno per farlo, appalti importanti: il sistema delle tangenziali attorno alla città e più a ovest la Brebemi, l’autostrada direttissima per Milano. Ma mesi prima il tutto aveva preso il via dalla Valtrompia, un territorio che in Dda considerano da sempre “preda dei clan calabresi”.
Vittima delle ingerenze della criminalità organizzata, ipotizzano in procura, è stato anche quell’Antonio Tassone di Lumezzane, imprenditore edile, che ha visto il suo magazzino andare a fuoco nel gennaio scorso, in circostanze evidentemente dolose. La distrettuale antimafia cominciò ad indagare, ma dopo aver ascoltato alcune intercettazioni accusò Tassone di aver tentato di passare tangenti a dei funzionari pubblici, per spianare la strada a un suo progetto: la costruzione di un centro commerciale a Castel Mella, nell’hinterland bresciano. Questo filone sarà chiarito il prossimo 24 novembre, quando comincerà il processo con rito immediato. Alla sbarra lo stesso Tassone, ma pure il capo dell’ufficio tecnico di Castel Mella, Marco Rigosa (assessore leghista nel comune dove ha la residenza: Rodengo Saiano) e il geometra Andrea Piva, oggi tutti agli arresti domiciliari.
Dall’altra parte, le indagini per scoprire dove puntano i tentacoli della ‘ndrangheta bresciana continuano. Si vuole venire a capo della rete di connivenze sulla quale possono contare i compari. Professionisti, imprenditori e politici vengono marcati stretti. Ma il riservo è massimo.
Del resto c’è la testimonianza del “padroncino” Marco a parlare chiaro: qualcuno, nel settore delle costruzioni, spalleggia l’attività della criminalità organizzata. Le sue parole, intercettate dalle forze dell’ordine prima di finire nell’inchiesta Caposaldo, risultano sintomatiche di una realtà preoccupante: “Una telefonata così (di minacce ndr), da voi calabresi, l’avevo già preventivata… Posso andare a lavorare in un’altra cava o devo chiedere il permesso a te o a lui (l’appaltatore che da i lavori ndr)? Ripeto: io ho già avvisato i carabinieri che me l’aspettavo una cosa del genere, perché è già successa una volta, una cosa del genere…”. Frasi che dimostrano quanto le brutture della metropoli e dell’ovest della Lombardia abbiano da tempo raggiunto anche il bresciano.