“Sulu” è il tuo secondo album da solista. Ci racconti com’è stato concepito e cos’è che ti ha spinto ad addentrarti nella tradizione musicale meridionale?
Sulu è nato dalla voglia di raccontare “il mio Sud” , servendomi principalmente di canti tradizionali poco conosciuti, brani scritti da me su ispirazione popolare e canzoni scritte da poeti cantastorie, precisamente Rina Durante e Pino Veneziano. Accompagnato da pochi strumenti, che ricamano con semplicità e profonda sensibilità sulle parole, racconto un altro salento, un altro Sud, fatto di emigrazione sfruttamento, mala politica e altro. Ho voluto pubblicare Sulu in una nuova forma che ricorda molto il lavoro fatto dai cantastorie del meridione (Salvatore, Profazio, Del Re, Zurlo per citarne alcuni) che raccontano con i loro testi e la propria musicalità le storie della gente, della miseria e dell’emarginazione della stessa. Un lavoro quindi distante dalla retorica della pizzica, ma che appartiene comunque ad altre forme di espressività che il popolo ha usato e che anch’io uso per comunicare i sentimenti e le difficoltà quotidiane.
Cosa ti piacerebbe che l’ascoltatore percepisca delle tue canzoni? Qual è il messaggio che intendi comunicare con la tua opera?
Sulu dà voce ai soli, alle persone sfruttate, derise, agli ultimi, quelli che non contano. “Sulu” perché l’emigrazione o l’emarginazione ti portano a stare da soli ; “Sulu” perché in questi centocinquant’anni, il Meridione è sempre stato considerato tale. “Sulu” perché sono soli gli extracomunitari che lavorano in Italia, specialmente nel Sud, dimenticati dal governo nazionale e locale. L’importante è che a noi non manchino le angurie e i pomodori a tavola. Vorrei che l’ascoltatore percepisse dal mio lavoro la gravità dei problemi trattati, e vorrei dare spunto per una crescente indignazione di fronte a tutte le ingiustizie che ci circondano.
Giovani costretti ad emigrare mentre un nuovo razzismo (verso chi sta peggio) e un’intolleranza (verso i migranti che dai Paesi del Nordafrica cercano fortuna da noi) aumentano tra i benestanti. Quanto è simile l’Italia degli anni Duemila a quella che tu canti nelle tue canzoni?
Le dinamiche sono le stesse, c’è un’emigrazione di ritorno dei giovani meridionali verso il Nord o verso l’estero e, contemporaneamente, una schiavizzazione dei nordafricani, specialmente al Sud (raccolta dei pomodori a Foggia, delle angurie a Lecce…). Il diverso, anche semplicemente di altra nazionalità, viene sempre ghettizzato, sfruttato e maltrattato. I temi che affronto nelle mie canzoni, nonostante il passare degli anni sono sempre gli stessi, emigrazione (L’America), lotte contadine (Quistione Meridionale, sfruttamento (Tristu furese) …“cangianu li sunaturi, ma la musica è sempre queddha” (i suonatori cambiano, ma la musica è sempre quella).
Nell’anno dei 150 anni dell’Unità d’Italia il Paese non è che abbia festeggiato adeguatamente l’anniversario… Qual è il tuo pensiero al riguardo?
Avendo al governo gente che non capisce l’importanza dell’Unità, anzi segue l’idea di un bieco secessionismo, non ci si può aspettare festeggiamenti adeguati. Si dà importanza a feste istituzionalizzate e consumistiche e la popolazione quasi non ricorda più le conquiste fatte con il sangue dei nostri avi. I centocinquant’anni dell’Unità d’Italia sono stati ricordati con superficialità; d’altronde la superficialità di chi ci governa non lascia dubbi…
Quanto è vicina alla tua idea di Italia, quella che andando alle urne ha manifestato il desiderio di cambiamento con i recenti risultati elettorali e i referendum?
Faccio parte di questo desiderio di cambiamento anche se il Sud farà sempre più fatica a cambiare. I referendum sono stati il risultato più importante per la grande partecipazione, nonostante il consiglio si andare al mare invece di votare per abrogare leggi che favoriscono pochi a scapito di molti. Le amministrative a Milano, Napoli, Cagliari… ci hanno fatto capire che i cittadini quando sono indignati, stanchi della mala politica, possono cambiare le cose. La cosa che mi rende più felice è che, nonostante decenni di dittatura mediatica, è possibile ragionare con la propria testa.