La Corte d’appello del tribunale di Firenze ha cancellato a causa della prescrizione le 27 condanne in primo grado nel processo per danni ambientali ai dirigenti del consorzio Cavet per le opere di alta velocità nel tratto della cosiddetta variante di valico tra Bologna e Firenze.
La sentenza, che arriva in giorni in cui si parla di Tav soprattutto per la Val di Susa, ha anche cancellato il maxi-risarcimento da 150 milioni di euro stabilito nel marzo 2009.
La vicenda giudiziaria è iniziata nel 2004 e ha visto diverse parti in causa schierarsi contro Cavet, accusando il consorzio di aver commesso reati concernenti il trattamento degli inerti inquinanti, lo smaltimento dei rifiuti speciali e il drenaggio delle acque. La sentenza dei giudici d’appello capovolge quella di primo grado: allora erano stati condannati 27 dei 39 imputati a 5 anni di reclusione e al risarcimento milionario. “Attenzione però, la corte ha considerato molti reati prescritti, non assolti”. A ricordarlo è Piera Ballabio della comunità montana del Mugello.
Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana e Legambiente si erano costituiti parte civile e ora intendono presentare ricorso in Cassazione. Intanto il verdetto ha il sapore di una débâcle per l’intera comunità del Mugello, alla quale è stata sottratta l’acqua. L’assetto idrogeologico del Mugello risulta irrimediabilmente devastato. Sorgenti essiccate, torrenti senza più acqua, dichiarati biologicamente morti. È il caso del Diaterna, nel Comune di Firenzuola, dove sono andati a finire i fanghi contaminati, presenti nelle acque drenate dalle gallerie. Il bilancio dell’impatto sul sistema idrico è catastrofico: le falde acquifere sono precipitate di oltre duecento metri, con conseguente disseccamento della vegetazione di superficie.
Tragica ironia della sorte: il giudizio di ultimo grado arriva a breve distanza dalla vittoria referendaria dei sì, sui quesiti inerenti l’oro blu. Nel Mugello ancora prima di porsi il problema di mantenere pubblica la gestione dell’acqua si sono dovuti preoccupare di proteggere questo loro bene primario. Invano.
“Oltre il danno la beffa” commenta Ballabio: “Ci sono ancora parecchi aspetti contorti nella sentenza soprattutto sul fronte dei risarcimenti, dove si è arrivati al paradosso che i veri danneggiati, come gli agricoltori del consorzio di Monte Morello rimasto senza acqua, dovranno risarcire le spese processuali”.
Quello della tratta tosco emiliana della Tav è un problema che parte da lontano. Nel 1995 i primi cittadini dei Comuni del Mugello parteciparono alla conferenza dei servizi di Roma e siglarono diversi accordi che permettevano a Cavet di sfruttare il proprio territorio in cambio di contropartite onerose. L’errore più grave fu forse quello di accettare una valutazione di impatto ambientale che non teneva nel giusto conto il rispetto del territorio. Ballabio ha idee chiare in merito: “È arcinoto che la valutazione d’impatto ambientale fosse carente. Chi l’ha prodotta probabilmente ha scelto di occultare il parere di coloro che si erano espressi negativamente sul passaggio dell’opera nel territorio del Mugello, come quello di un geologo dell’università di Bologna che aveva suggerito di passare da Arezzo. La valutazione è stata approvata dall’allora ministro dell’ambiente Edo Ronchi e dalla regione Toscana, entrambi hanno espresso parere favorevole. I sindaci del Pd si sono allineati e hanno cercato di portare a casa il più possibile, tant’è che non manca chi ha efficacemente soprannominato ‘mercato delle vacche’ il meccanismo delle contropartite”.
Tra i 27 assolti di Cavet c’è l’ingegnere Pietro Paolo Marcheselli. Raggiunto telefonicamente da ilfattoquotidiano.it ha commentato il giudizio d’appello dichiarando: “Finalmente è arrivata una sentenza corretta”. La sua linea difensiva fa leva sul fatto che si sarebbe saputo fin dall’inizio quali danni avrebbe apportato l’esecuzione del progetto nella tratta appenninica: “Il progetto –afferma Marcheselli- prevedeva di drenare l’acqua perché non c’era alternativa ed è stato accettato. È chiaro che tutte le grandi opere hanno un impatto sul territorio e prevedono un bilancio tra i costi e i benefici. Chi ha fatto la valutazione dell’opera evidentemente avrà valutato che i benefici sarebbero stati superiori ai costi. Io poi –prosegue l’ingegnere – tutto questo impatto di cui si è parlato devo ancora vederlo. Sì, si sarà seccata qualche sorgente ma questo si sapeva, era chiaro dal progetto. A ciò s’aggiunga che è stato ingenerato un sistema virtuoso per compensare alle perdite idriche avutesi con opere di ripristino ambientale come acquedotti, invasi di montagna e di pianura”.
A queste parole Ballabio replica indignata: “Marcheselli minimizza i danni. Ci dica lui se è di poco conto un’area dai 70 ai 100 km quadrati rimasta senz’acqua: si tratta del 75 per cento del territorio del Mugello”. “Il problema –prosegue- è che un reato di sottrazione dell’acqua non c’è ancora, infatti Alessandro Nencini, il giudice del processo di primo grado, sollevò il problema. Occorrerà chiedere a un governo futuro di istituirlo”.
Marcheselli sostiene anche che il materiale inerte risultatane dagli scavi in galleria non fosse inquinante: “Due o tre gocce di idrocarburi” –afferma. Al contrario Ballabio sostiene che dalle gallerie venissero prelevati anche materiali pericolosi, fatto che vedrebbe il consorzio Cavet coinvolto nel traffico illecito di rifiuti e, a prova di ciò, avverte: “Ci sono i campionamenti di Arpa, le norme non sono optional”.
La gente del Mugello, mesta, prende questa sentenza come una battaglia persa. Non c’è tempo però per rammaricarsi. È necessario guardare avanti, pensare alla Cassazione e soprattutto fare in modo di preservare quell’acqua che ancora non è sparita o non è stata contaminata. “Ora –insiste Ballabio- siamo preoccupati sui risvolti che potrà avere questa sentenza nel territorio del Mugello. Cavet infatti sta eseguendo i lavori autostradali per la variante di valico, relativa alla costruzione della terza corsia dell’A1. Il rischio reale è che s’inquinino le acque dei torrenti che confluiscono nel lago di Bilancino. La sentenza d’appello purtroppo rende le aziende impunite, le mette in condizioni di fare il bello e il cattivo tempo”.