Spalle al muro, alla fine Silvio si è rimangiato il Frodo Mondadori. Nel corso delle ultime dodici ore sono stati in molti a pressare Palazzo Chigi perchè tornasse sui suoi passi, ma come sempre alla fine è stato determinante il parere di Bossi. Che ha fatto capire che la Lega non era disposta a mettere nuovamente la faccia sul passaggio di una norma vergognosamente ad personam. Certo, anche il Quirinale ha fatto la voce grossa, così come il malessere dei ministri non avvertiti del blitz è stato il condimento all’imbarazzo anche di Alfano, co-autore della furbata boomerang.
Ma se il Cavaliere ha fatto retromarcia (e una figuraccia enorme) lo si deve soprattutto alla Lega, disposta anche a far cadere il governo sulla manovra pur di non poter essere chiamata in correità dal proprio elettorato nel salvataggio delle aziende di Silvio. L’arrabbiatura dei vertici leghisti era partita l’altra sera, un’irritazione profonda per essere stati tenuti all’oscuro di tutto. Così come Tremonti, avvertito solo a blitz consumato per mano di Alfano e dello stesso Berlusconi; se fosse andato avanti, il gesto di Berlusconi, per quanto dettato dalla disperazione, non avrebbe fatto altro che anticipare una crisi di governo ormai palese. Con la lega ancora una volta nei panni di chi stacca la spina, visto che la base bossiana non ne può più e i vertici di via Bellerio hanno estrema necessità di dare un segnale forte, una risposta netta a quel 70% dell’elettorato che non vuole più Berlusconi premier (sondaggio Dempolis).
“Con Silvio al governo – confabulavano ieri a via Bellerio – la Lega è destinata a ritornare un partitino del 2%”. Quindi Matteo Salvini, capogruppo leghista in consiglio comunale di Milano, ancora più diretto: “Ma Silvio c’è o ce fa?? Forse se lascia perdere e si dedica al Milan l’è mej..”. Il popolo del pratone di Pontida (e non è passato neanche un mese) è per il 60% contrario a toccare le pensioni così come è soddisfatto solo al 38% del trasferimento possibile dei ministeri; e dire che sembrava anche quella una vittoria del fronte padano. Insomma, la manovra non convince e persino la questione della revisione del patto di stabilità per i comuni virtuosi, salutata come una espugnazione leghista al tavolo della trattativa con Tremonti, ha avuto il plauso del 64% dello zoccolo duro dell’elettorato; a parte far fuori Silvio, pare proprio che nulla di ciò che sta accadendo sia capace di ricompattare la base elettorale del Carroccio come i bei tempi che furono. E’ come se la Lega, improvvisamente quanto drammaticamente, si fosse accorta proprio in questi giorni di aver saturato il proprio bacino elettorale e di essere, oggi, solo in grado di regredire. E questo rende molto nervoso Bossi. Ma soprattutto Maroni.
Il ministro dell’Interno, in questi giorni sotto i riflettori per la questione della Tav, è anche uomo dal dialogo costante con il Quirinale; di sicuro anche lui ha svolto un ruolo importante nella trattativa per togliere il Frodo Mondadori dall’articolato della manovra. Ma d’altra parte, la Lega non aveva grandi alternative, doveva smarcarsi da un oggettivo scandalo se non voleva perdere altri punti. Sia sulla manovra, ma ora anche sulla richiesta di autorizzazione a procedere per Alfonso Papa, l’onorevole deputato ex magistrato per il quale i giudici di Napoli hanno richiesto l’arresto nell’ambito dell’inchiesta P4. Su questo punto, il Carroccio potrebbe trovarsi in ottima compagnia, ovvero con un nutrito drappello di deputati pidiellini convinti che “il partito degli onesti” non possa più andare avanti a salvare dalla galera quelli che onesti non lo sono forse mai stati.
Le prossime tre settimane restano comunque esiziali per le sorti della maggioranza. La manovra ora non è più uno scoglio politico, ma l’arresto di Papa sì. E l’arrivo della vera sentenza Mondadori che potrebbe davvero rimescolare le carte nell’intero panorama politico del Paese. Sabato il verdetto.