Politica

Digos Boogie (La Tav<br> e il Manganello)

Non so quanto conoscete Ivan Graziani. A me capita di sentirlo spesso. Il più grande sottovalutato della musica italiana. Ha scritto molte canzoni. La maggior parte sono splendide. Alcune sono decisamente brutte.

Nel mezzo, apparenti divertissement che nascondevano altro. Digos Boogie, ad esempio. Un vestito sonoro leggero per una storia di violenze legalizzate. Graziani non aveva sovrastrutture barbosamente cantautorali, per questo la critica più tonna incensa ancora Vecchioni e si è dimenticata di lui.

Ascoltavo Digos Boogie anche l’altro giorno. Mi ha colpito l’attacco, che pure so a memoria. Mi è parso, di colpo e nuovamente, attuale. Quell’allegrezza dell’arrangiamento ne esacerbava la crudezza testuale. “Siamo tutti quanti poliziotti/ Digos boogie/ Siamo cattivi ma sempre giusti/ Digos boogie/ Siamo tutti quanti poliziotti/ Da quattro generazioni/ Crediamo nella legge che non perdona/ E che non sbaglia mai“.

Molti stanno parlando di Tav. E’ legittimo essere o non essere d’accordo. Per quel che vale, sono contrario. E trovo ineccepibile l’articolo di Luca Mercalli sul Fatto Quotidiano.

Non è però legittimo alimentare il sillogismo, capzioso e criminoso, secondo cui chi è contro diviene automaticamente un fiancheggiatore dei Black Bloc. Eppure va di moda, a destra e a sinistra (eh?).
Il problema non è Beppe Grillo. Continua a sbagliare i toni, la tirata sui “veri Black Bloc da cercare in Parlamento” è l’ennesimo confettino perfetto per chi ama tratteggiarlo come un “cattivo maestro”. Un assist per le critiche più banali. Ieri Mauro Mazza, ora Adolfo Urso. Manca solo la buonanima di Bombolo che lo paragoni a Goebbels: il tenore culturale è quello.

Il problema è quando si usa un comizio, discutibile ma pertinente, per riverberare la credenza secondo cui i notavvisti sono antidemocratici e attaccano le forze dell’ordine (illibate per postulato governativo). Il comizio di Grillo è stato pronunciato prima degli scontri, ma secondo la grancassa mediatica avrebbe addirittura legittimato i picchiatori (prima che i picchiatori si palesassero: pure preveggente, ‘sto Grillo).
Poco importa che si parlasse di “manifestanti eroi”, non lasciando quindi spazio a fraintendimenti. Chi “manifesta” è di per sé democratico, l’Italia ha una nobilissima tradizione in merito. Chi picchia non manifesta: picchia. Non è un concetto difficile, può arrivarci anche Castelli (forse). Il buon Urso, uno di quelli che per strada legge i nomi sui necrologi per ricordarsi di essere vivo, continui a giocare a tressette con Bocchino e parli di ciò che sa (stia, cioè, zitto).

Il giornalismo non se la passa bene e il vento del rinnovamento sembra già un ricordo. La sinistra (eh?) che si spacca, Fra’ Bersani da Stoppardi che straparla di tesi “irricevibili” ma tace se il suo Partito, assai prodigo di promesse in campagna elettorale, si astiene quando c’è da cancellare le Province (non avevate garantito il contrario, gerarchi del Partito Disastro? Avete ancora troppi bolliti da piazzare nei consigli provinciali, cari – cari – polli di allevamento?).

E’ uno scenario apocalittico, ma a farmi paura adesso non è la schifezza di politici che abbiamo: mica è una novità. Ben altro induce alle peggiori delle inquietudini, quella su cui Fernando Pessoa mai avrebbe scritto libri.
E’ quella canzoncina, è quel boogie di inizio articolo. Sono (a quanto pare) i lacrimogeni lanciati ad altezza d’uomo, indistintamente contro donne e bambini, uomini e anziani. E’ il negare la parola a chi, dati alla mano, ha motivazioni validissime quando asserisce che la Tav sembra (sembra?) spaventosamente inutile: un bagno di sangue economico – e non solo economico.

Sono gli scontri, l’aria che non ci girà più intorno: il manganello benedetto nell’acqua sorgiva del peggior centrodestra terracqueo.

Non vorrei che fossimo piombati un’altra volta dentro lo stesso film. Il peggiore dei film. Quello delle Bolzaneto, delle Scuola Diaz, dei martiri chiamati Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi. E tanti, troppi altri.

Se c’è una cosa irricevibile, caro Fra’ Bersani da Stoppardi, è la violenza del potere che si crede assolto. E che, al contrario, è per sempre coinvolto. Il più imperdonabile dei soprusi.

Se provare stima per chi manifesta significa essere cattivi maestri, lo sono anch’io.

Con gli insulti ci faccio l’aerosol. Condanno, io come tanti, i Black Bloc e al tempo stesso una politica trasversalmente indecente.

E resto convinto che, se all’interno di una democrazia si crea una drammatica anomalia antidemocratica, l’unica risposta è reagire. All’interno di regole condivise, ma reagire. Per non essere conniventi. O anche solo per essere vivi.

Finché te lo permettono.