Nella finanziaria che il ministro dell’economia si è comprensibilmente vergognato di presentare ha fatto irruzione, anche se abbastanza fugacemente, “la roba” del presidente del Consiglio nascosta in una piega quasi introvabile: al comma 22, lettera b, l’ultimo ovviamente dell’art. 37 che si dilata per ben 5 pagine, da 100 a 105, e dal titolo molto rassicurante: “Disposizioni per l’efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie”.
L’incursione era stata dettata dall’ossessione di sempre che Berlusconi confessò in tempi lontanissimi in un’ intervista a quello che sarebbe in seguito diventato “il criminoso” epurato Enzo Biagi. In quell’occasione dichiarò di essere entrato in politica non per ragioni ideologiche ma per “evitare la galera”, salvare la roba e tutelare il controllo delle sue tv, come non ha mai smesso di ricordare fino alla morte, in perfetto isolamento e accompagnato dall’epiteto di “demonizzatore”, Paolo Sylos Labini. Lo aveva scritto a chiare lettere nella sua prefazione all’illuminante libro di Mario Guarino L’orgia del potere, sempre più attuale nell’escalation di voracità senza vergogna di cui siamo preda; lo ha ribadito nel suo pungente ed accorato Ahi, serva Italia uscito nel 2006; lo ripeteva in ogni occasione pubblica, animato dalla sua indomabile passione civile, ai “dialoganti” che si ostinavano a considerare incredibilmente Silvio Berlusconi un interlocutore istituzionale e uno statista.
Questo vergognoso e rovinoso intervento truffaldino concepito unicamente allo scopo di “congelare” almeno fino alla sentenza di Cassazione il risarcimento milionario a De Benedetti a carico di Berlusconi, su cui sta per pronunciarsi la corte d’appello di Milano dopo la condanna di primo grado nel 2009, è stato ritirato in fretta furia per arginare l’ostilità non celata del Capo dello Stato e l’insofferenza ormai incontenibile del principale alleato a cui ha dato voce la Padania con un titolo inequivocabile: Giallo Mondadori. Il comma comparso last minute per intervento tuttora non rivendicato rendeva indigeribile un testo che è già di per sé inqualificabile per l’accozzaglia di materiale eterogeneo da suk finanziario più che da manovra di lungo periodo, sul quale il Quirinale continua a ravvisare non poche “criticità”.
Anche il più fantasioso “demonizzatore” del Cavaliere avrebbe faticato ad immaginare che all’interno di una finanziaria si sarebbe mai materializzato l’esatto equivalente berlusconiano dell’ossessione del Mazzarò di Giovanni Verga per “la roba”, e cioè l’estremo e violento tentativo di opporsi a una fine imminente e ineluttabile difendendo con ogni mezzo i beni al sole o quelli nei paradisi fiscali: “Tutta roba di Mazzarò. Pareva che fosse di Mazzarò perfino il sole che tramontava, e le cicale che ronzavano, e gli uccelli che andavano a rannicchiarsi… la roba è di chi se la fa.. roba mia vientene con me…” Se il protagonista di Verga era “un omiciattolo” arricchito con fatica e umiliazione e annientato dalla paura della morte, quello che ha imposto alla sua corte in disarmo, nel provvedimento economico fondamentale dello Stato, la difesa del suo patrimonio dalla sentenza di un tribunale civile, è, come ha scritto con sintesi perfetta Peter Gomez, “un politico dal futuro sempre più breve, ormai disposto a combattere solo per sé e per la sua roba…”
La truffa lunga un giorno, rivendicata anche post-ritiro dal neosegretario per investitura Alfano come “principio sacrosanto”, dimostra come possa essere veramente breve il futuro politico di Berlusconi e forse anche come avremmo potuto accorciarlo prima se si fossero attivati da subito “gli anticorpi” di cui parlava Sylos Labini e se il massimo organo di garanzia non si fosse cullato nella vana illusione della moral suasion.