Quando si rompe il circuito fiduciario fra governanti e governati, l’apparato pubblico e i beni comuni vanno in frantumi, i secondi sono costretti a subire umiliazioni e spoliazioni, i giovani sono privati del loro futuro, la politica diventa un gioco riservato a pochi attori che lo conducono solamente per soddisfare i loro interessi immediati, una società entra fatalmente in crisi, con due possibili via d’uscita.
La prima possibile via d’uscita, che è auspicabile, è quella dell’esplosione rivoluzionaria che porta a un radicale cambiamento di paradigma e di funzionamento. Gli interessi delle moltitudini vengono portati in primo piano, si delineano linee alternative, si rompono i circoli esclusivi del potere e della decisione, si attua una vera democrazia sia dal punto di vista dei contenuti sostanziali che da quello delle procedure, si afferma il principio fondamentale dell’uguaglianza e del soddisfacimento dei diritti di tutte e di tutti sul piano politico, civile, economico, sociale e culturale.
La seconda via d’uscita, estremamente negativa, è quella che purtroppo va per la maggiore nel mondo attuale devastato dalle dottrine liberiste e dalle strategie autoreferenziali ed egoiste del capitale, in primis finanziario. Essa porta alla distruzione del legame sociale, alla guerra di tutti contro tutti, al ripristino della terribile maledizione della specie umana, secondo il detto hobbesiano homo homini lupus. Sul piano istituzionale è stata coniata, per esprimere tale fenomeno, l’espressione del failed State (Stato fallito), che porta in molti casi alla dittatura de facto delle mafie o allo smembramento della società secondo linee etniche o religiose.
Questo triste destino è toccato o sta toccando a molti Stati del cosiddetto Terzo mondo, ma incombe oggi su un numero crescente di Stati più economicamente sviluppati, anche in Europa, e negli stessi Stati Uniti favorito com’è da una crisi che non è solo economica e finanziaria ma rappresenta l’agonia irreversibile di un sistema sociale, economico e politico che non offre alcun futuro al genere umano.
Letti in quest’ottica di fondo, anche i fatti della Val Susa, assumono un valore emblematico. Essi ci pongono una domanda di valenza fondamentale. Esiste oggi in Italia un soggetto rivoluzionario che sappia farsi carico della richiesta urgente e imperativa di democrazia che sorge dalle popolazioni interessate e più in generale dal popolo italiano, come dimostrato dall’esito dei referendum su acqua pubblica, nucleare e legittimo impedimento?
Grande è la distanza fra aspettative e intendimenti del nostro popolo e la squallida realtà delle forze politiche organizzate, di maggioranza e di opposizione, prigioniere di logiche a breve termine, ostaggio dei poteri forti e degli interessi consolidati e, per quanto riguarda in particolare quelle di opposizione che dovrebbero configurare l’alternativa all’attuale sconfortante situazione, condannate, per di più, a una lotta intestina in buona misura dovuta a motivi di puro ordine personale ed individuale.
“Rivoluzione italiana” può parere un ossimoro, date le ben note nostre caratteristiche nazionali, ma costituisce oggi più che mai un’urgente necessità, nonché la condizione sine qua non perché il nostro Paese possa oggi dare all’umanità quel contributo che in altri momenti seppe fornire.
Mentre i giornali, con poche eccezioni, fra le quali occorre annoverare il Fatto quotidiano, sanno occuparsi del problema sollevato dalle popolazioni No-Tav solo per gettare un anatema sui presunti black-block e tornare ad affermare in termini apodittici e strumentali l’assoluta indispensabilità di un’opera inutile, nociva e costosa, bisogna che chi ha cuore effettivamente il futuro dell’Italia si interroghi a fondo sulla richiesta di democrazia che tali popolazioni esprimono e sappia formulare risposte efficaci sul breve, medio e lungo termine.