Una domenica mattina, su un treno diretto a Roma, una signora ormai fuori dall’età scolare ha attirato la mia attenzione ripetendo a mezza voce quella che doveva evidentemente essere una lezione da fissare a memoria. All’arrivo in stazione, un’occhiata al libro mi ha permesso di riconoscere un testo destinato ai mediatori-conciliatori. E siccome da settimane mi pareva fosse aumentato il bombardamento pubblicitario (soprattutto in rete) di corsi di formazione per mediatori-conciliatori, non restava che andare a curiosare un po’ più a fondo sull’argomento.
Molti di voi sanno che il 21 marzo 2011 è entrato in vigore, per legge, l’obbligo di tentare la conciliazione attraverso un “mediatore”, pena l’impossibilità di andare a giudizio. Bisogna passare da un “mediatore” per le cause che riguardano i diritti reali, le eredità, le locazioni, la responsabilità medica e a mezzo stampa, i contratti assicurativi e bancari. Dall’anno prossimo, l’obbligo sarà esteso anche alle Rc auto e alle liti condominiali.
Non ci interessa ora ragionare sulla validità complessiva dello strumento, di cui si parlerà a lungo in altre occasioni (ricordiamo soltanto che ha scatenato fortissime proteste da parte degli avvocati). Piuttosto, ci sembra il caso di approfondire l’inizio, l’attacco, come si dice in gergo giornalistico.
Chi sono e come vengono formati questi benedetti “mediatori” che dovrebbero risolvere tutti i problemi dell’arretrato civile italiano ed eliminare la litigiosità futura?
La prima scoperta è che, per diventarlo, basta una qualsiasi laurea triennale, compresa quella in ingegneria. Se avete qualche minuto di tempo, provate a scorrere gli elenchi dei “promossi” o in attesa di promozione nei siti dei vari organismi autorizzati ad “arruolarli” dopo averli formati. Molto gentilmente, il responsabile di uno di questi organismi (che non si nomina per non fargli pubblicità gratuita), ci ha spiegato che, gira e rigira, alla fine il 60% di quanti si iscrivono ai corsi da mediatore proviene da una facoltà di giurisprudenza. Tuttavia, come si è detto, il decreto 180/2010 non esclude alcuna disciplina di partenza.
Qualcuno dirà che un ingegnere (o un’ostetrica) possono diventare migliori valutatori in una causa per danni da rottura dell’impianto idraulico (o per danni da parto) di un leguleio ferrato soltanto nelle procedure. Perché no?
Andiamo avanti. L’entrata in vigore dell’obbligo, ha scatenato la concorrenza tra i vari “formatori”.
A prima vista, sembra una concorrenza al ribasso.
Il già citato decreto 180 mette nei fatti un limite alla qualità della formazione nel momento in cui fissa a 50 ore il tempo necessario (e sufficiente) minimo per diventare un bravo mediatore. Come, cinquanta ore? Sì, avete capito bene. Ma non sono pochine per imparare una professione complessa come quella del “pacificatore” in campo giuridico civile? Secondo il ministero della giustizia, bastano. Il risultato, spiega il nostro interlocutore, è che “un corso con un maggior numero di ore diventa fuori mercato”.
Eh, già. Ecco allora piovere sul web le offerte di corsi tra le 50 e le 52 ore con tanto di programma (imposto dal decreto) che nella stragrande maggioranza dei casi è un copia-incolla dal testo ministeriale stesso. Il costo medio varia tra i 1300 (a Catanzaro) e i 1500 euro (a Milano e Roma). Le lezioni si svolgono di solito in una settimana, con punte di frequenza giornaliera di 10 ore e, quasi sempre, esame finale la domenica. Il che ci spiega la povera signora che ripassava a tappe forzate, proprio la domenica, il testo per l’esame.
Ognuno di voi, potenziale utente di questi futuri mediatori, decida se queste modalità sembrano garantirgli un interlocutore convincente.
La ricerca ha poi portato alcune ulteriori informazioni.
Nel grande affare della formazione dei “pacificatori” è entrata anche e-Campus, l’università telematica molto amata da Berlusconi. Basta una telefonata per essere informati che questo tipo di corsi, a Roma, vengono tenuti nella sede di Cepu e che costano intorno ai 3.300 euro. I corsi sono poi sponsorizzati da un’Associazione Mediatori Conciliatori Italiani che ha sede a Perugia, ha un numero di fax, fornisce l’Iban per i versamenti dell’iscrizione, ma non ha un sito esaustivo (ad esempio non mette a disposizione né statuto né regolamento). Naturalmente, né Cepu né la sua università telematica sono accreditati al ministero come enti formatori. Lo è invece Cesd, altra sigla sempre riferibile al gruppo, che ha sede legale in via del Tritone 169, a Roma, e cioè la sede di Cepu.
Per chiudere, una ripassata ai numeri.
Si suppone che un ente si accrediti come formatore presso il ministero con lo scopo di organizzare corsi. Gli enti accreditati sono 199. Per molti di loro, i corsi si tengono una volta al mese, di media, in almeno 4-5 città italiane. Ad ogni corso partecipano fino a 30 iscritti. Fatevi i conti e vedrete che, nel giro di un anno o due, i mediatori professionisti toccheranno quote vertiginose. Un esercito, con relative aspettative di guadagno che probabilmente non arriveranno mai.