“Un passaggio storico per Taranto e la Puglia”. “No, uno schiaffo alla città”. Com’era immaginabile, la decisione di concedere l’Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia) all’Ilva di Taranto ha scatenato reazioni opposte fra le diverse parti in campo. Fatto sta che lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa potrà continuare le sue attività per i prossimi sei anni. Alla concessione dell’Aia farà infatti seguito un decreto del ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo che garantisce la conformità degli impianti del gruppo Riva alle normative ambientali europee.

L’accordo è stato preceduto dalla polemiche e ha riacceso lo scontro fra istituzioni, comitati cittadini e associazioni ambientaliste sulla possibilità di conciliare la presenza dell’Ilva, con i suoi circa 13mila occupati, con la tutela di popolazione e ambiente che da anni subiscono i danni di questa convivenza.

“Siamo riusciti a tenere insieme le ragioni dell’ecologia con quelle dell’economia e del diritto al lavoro”, ha detto Lorenzo Nicastro, assessore alla Qualità dell’ambiente della Regione Puglia a ridosso dell’incontro che ha dato il via libera all’Aia per l’Ilva.

Conquiste insufficienti secondo comitati cittadini e gruppi ambientalisti che denunciano l’aumento della capacità produttiva di acciaio fino a 15 milioni di tonnellate annue, la mancanza di limiti alle emissioni per alcune sostanze dannose e l’inadeguatezza dei monitoraggi e dei controlli sulle emissioni e gli scarichi dell’industria. “È una Aia vergognosa perché non sono previsti limiti alla fonte di emissione per quanto riguarda sostanze dannose per la salute come il cadmio, cromo esavalente, mercurio e i metalli pesanti”, ha dichiarato il presidente nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, annunciando un ricorso del suo partito al Tar contro la concessione dell’autorizzazione.

Legambiente invece parla di “grave passo indietro”, come ha sottolineato il responsabile scientifico Stefano Ciafani che si dice “fortemente critico sul lavoro della Commissione Ippc, sempre pronta ad accogliere le richieste dell’azienda a scapito dei cittadini”.

L’associazione del cigno fa notare come la rete di monitoraggio esterno alla cokeria scomparirà, “uno strumento importantissimo per rilevare le emissioni di Ipa e del pericolosissimo benzo(a)pirene”.

Il coordinamento Altamarea ha affidato il proprio sdegno a un comunicato listato a lutto: “E’ l’ennesima ingiustizia alla città di Taranto e ai suoi abitanti”.

Il comitato Donne per Taranto invece annuncia battaglia: “Non ci fermeremo fino a quando non avremo ottenuto l’indagine epidemiologica, e fino a quando il diritto alla salute verrà tutelato. Com’è possibile concedere l’Aia a un’industria che dovrebbe essere messa sotto sequestro per le anomalie riscontrate dal Noe di Lecce?”

L’ennesima conferma dell’impatto ambiatale dell’Ilva arriva nel frattempo dagli ultimi dati dell’Arpa, resi noti proprio nel giorno della concessione dell’Aia. “La concentrazione di benzo(a)pirene sottovento nei pressi delle ciminiere è pari a 4.46 ng/m3, molto più alta di quella sopravento (0.06) e di quella con calma di vento (0.27). Se ne deduce il contributo praticamente esclusivo di Ilva”, si legge nella nota diffusa dall’Agenzia regionale per l’ambiente.

Taranto intanto veniva ripulita dall’ultima tempesta di polvere di minerali che il vento, nei primi giorni della settimana, ha ancora una volta sparso sulle case della città. Da anni i cornicioni pieni di polvere parlano chiaro, così come gli indici di mortalità e i dati sulla straordinaria diffusione di patologie gravi, anche fra i bambini, nella seconda città pugliese. E, anche se a Roma forse qualcuno fa ancora finta di non vedere, a Taranto l’emergenza continua. Anche con l’Aia.

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