Da Roma a Chiomonte, 700 km per protestare contro i cantieri dell'alta velocità. Intervista a uno dei ragazzi che hanno partecipato agli scontri dello scorso 3 luglio. Giovane, laureato, precario, accetta di parlare in forma anonima: "Il 'partito dell'ordine' invoca la forza e la chiama democrazia"
Giovane, laureato e precario. E’ un attivista dei centri sociali romani, che domenica 3 luglio ha percorso 700 Km per appoggiare la lotta dei No Tav in Val di Susa. In forma anonima ha accettato di farsi intervistare “per controbilanciare la disinformazione che – secondo lui – ha dominato sui media nazionali nei giorni successivi alla mobilitazione e soprattutto per argomentare quelli che possono sembrare gesti estremi, ma che invece – sottolinea – stanno dentro a una logica razionale che punta a strappare dei risultati concreti”.
Tu eri in Val di Susa il 3 luglio, al fianco dell’ala dura della protesta. La stampa vi ha definito black bloc. Ma di che cosa si parla quando si citano i black bloc?
E’ l’esercizio di una pratica collettiva, un’azione diretta che punta a colpire le cose, nei termini dei simboli evidenti del capitalismo neoliberista in crisi, ma che poco si addice a quello che è avvenuto in valle. Lì non c’erano né banche, né negozi da saccheggiare. Definirci black bloc è una banalizzazione dei media, che per servire il potere mentono, quando sono di fronte alla necessità di dover creare la figura del mostro mediatico, la maschera del nemico pubblico.
Che narrazione è stata fatta del 3 luglio?
Io ti posso fare la mia. Il 3 luglio è stata una giornata importante per diversi motivi, non ultimo quello che è aumentata la consapevolezza che intorno a questa cruciale battaglia dei No Tav si accumulasse la speranza di un cambiamento generale. Ed è così, non solo per la particolarità del momento, visto che cadeva a ridosso di una nuova Finanziaria lacrime e sangue, in un contesto di delegittimazione totale del Governo, ma anche perché arrivava dopo la vittoria del movimento referendario proprio sulla salvaguardia dei beni comuni. In questa fase era evidente che intorno al movimento No Tav si condensasse una necessità storica, che era quella di determinare una giornata che non parlasse soltanto del Tav, ma che dentro a quel grande “No” ci fosse anche la pretesa da parte di questo tessuto insorgente, appoggiato da realtà di tutta Italia, di imporre all’agenda politica la volontà di cambiare radicalmente il ciclo sistemico di crisi, profitto, corruzione e falsa rappresentanza.
Come spieghi la diffidenza di certi gruppi di manifestanti che spesso sfocia in aperta ostilità verso i giornalisti?
L’ostilità è prima di tutto quella dei media verso la cittadinanza, che dovrebbe essere il primo interlocutore, poiché è il paese reale che si mobilita e che dovrebbe essere interrogato e tutelato. Non c’è stato nulla di così emblematico come la dittatura mediatica che si è espressa all’indomani del 3 luglio, attraverso il “partito dell’ordine”, che tiene insieme dal Pd al Pdl e che contempla il 95% dell’attuale arco parlamentare, lo stesso che ha invocato l’uso della forza chiamandola democrazia, chiamandola imposizione della forza per il bene comune. Quello che è avvenuto, invece, è esattamente il contrario: c’è stata l’imposizione della forza per il bene privato contro il bene comune.
Il corteo pacifico partito da Exilles era al corrente di quello che sarebbe accaduto su nei boschi?
Non solo era al corrente, ma era perfettamente in linea con la scelta dell’assedio del cantiere, una decisione presa attraverso un’assemblea popolare. Avendo fatto una chiamata nazionale, esplicitando che ognuno avrebbe potuto utilizzare le sue forme, la cosa più ovvia era che ci si dividesse sulle pratiche da mettere in campo. Ci sono stati tre blocchi, che in perfetta sintonia hanno determinato l’assedio. In valle il corteo pacifico non si è mai mosso, ci ha garantito una via di fuga. Quando siamo scesi dal bosco ci hanno applaudito, abbracciato, dando segni non di solidarietà, ma di complicità.
Il giorno dopo gli scontri l’attenzione era tutta concentrata sui disordini anziché sulla marcia pacifica di migliaia di persone. Non pensi che certe azioni possano danneggiare la battaglia contro l’alta velocità?
Se leggiamo i giornali di oggi mi sembra che i risultati ci siano eccome! Mi riferisco all’accordo Italia-Francia di fare dei passi indietro sull’ipotesi del mega progetto per come lo conoscevamo. Se dovesse essere approvato questo arretramento potremmo dire che la giornata del 3 luglio comincia a produrre i suoi primi effetti. I giornali di destra stanno dicendo che a causa della violenza la Ue taglierà i fondi destinati alla Torino-Lione. Ma scambiano la violenza per resistenza. La violenza è occupare militarmente un territorio e sparare centinaia di lacrimogeni con gas Cs ad altezza uomo. Si sono anche visti agenti che dal cavalcavia tiravano sassi sui manifestanti.
Molti osservatori sostengono che l’ala dura usi la lotta contro il Tav come pretesto per creare disordini in una generica battaglia contro lo Stato e le forze di polizia.
Negli ultimi vent’anni in Val di Susa si è materializzata un’alleanza trasversale, che va dai cattolici di base fino ai gruppi anarchici più radicali. In quella antropologia del nord, particolarmente intelligente, si è data un’ampia mobilitazione sociale che ha dovuto per forza essere mistificata attraverso la costruzione del nemico pubblico. E in questo contesto credo che la Lega Nord possa considerare la Val di Susa come la propria tomba. Impigliata nella sua logica populista e radicata sul territorio, la posizione del partito di Maroni – proprio in Val di Susa dove più che mai dovrebbe valere il motto “padroni a casa nostra”- bene, quella posizione pro-Tav del Carroccio appare oggi ancora più imbarazzante, ridicola e contraddittoria, rispetto invece all’anima palesemente liberista del Pdl.
Il Ministro Maroni vorrebbe incriminare i responsabili dei disordini per tentato omicidio. Il capo del Viminale ha anche definito quello che è andato in scena il 3 luglio uno “spontaneismo armato” assimilabile a “una nuova forma di terrorismo criminale”.
Penso che Maroni abbia dimostrato di non conoscere la Costituzione, perché a un ministro non compete la definizione di un reato, questo è compito della Magistratura. Sullo “spontaneismo armato”, poi, non vale la pena rispondere, dal momento che si è trattato di dispositivi pirotecnici, oltre che al buon vecchio sasso.
Alcuni agenti di polizia dicono che c’era un progetto politico per “lasciarli massacrare” da voi e per poi avere l’opinione pubblica dalla loro parte.
Io ho una visione diversa. Le forze dell’ordine hanno provato a caricarci, senza riuscirci, perché i boschi della Val di Susa rappresentano per loro un terreno insidioso e difficile da gestire in termini di sicurezza pubblica. Penso che l’unico progetto politico evidente è quello di uno Stato che difende una cricca, che ha il “partito dell’ordine” come rappresentanza politica. Una cricca fatta di lobby trasversali del potere economico, che pur di salvaguardare i propri profitti sporchi sono disposte ad usare dei poveracci in divisa che guadagnano 1300 euro al mese per stare a prendere sassi sotto il sole. Che il nostro nemico non sia la polizia, ma i poteri forti, lo abbiamo detto in più occasioni. E un movimento popolare come quello No Tav rappresenta il vero antidoto non solo contro i poteri forti e contro questo Governo, ma anche contro i futuri giochi di Palazzo e tutti i Governi di transizione che seguiranno nella gestione autoritaria della crisi economica di questo Paese.
di Eleonora Lavaggi