In Tutti dicono I Love You ha ritratto Venezia e Parigi in maniera incantata, onirica; magica è l’aggettivo più sfruttato dai recensori del bel film con Goldie Hawn e Julia Roberts. Quindici anni dopo, nel pieno di una specie di tour che fa felice gli operatori del settore turistico e cinematografico di mezza Europa, dopo Londra, Barcellona e ancora la capitale francese magnificata nel Midnight in Paris visto a Cannes, Woody Allen torna in Italia per Bop Decameron, le cui riprese inizieranno nella Città Eterna da lunedì 11 luglio. “Ho scelto 69 luoghi con i quali renderò Roma molto romantica” ha dichiarato il regista newyorkese in occasione di un riconoscimento tributatogli in Campidoglio; un buon numero di vedute che faranno da sfondo ad una storia corale con un nutrito cast di cui fanno parte anche Roberto Benigni e Antonio Albanese.

Agli spagnoli però Vicky Cristina Barcelona non è piaciuto poi così tanto. Troppi luoghi comuni su maschi focosi e folklore catalano. Mentre per il quartetto inglese di Match Point, il risultato più alto della vecchiaia del genio yiddish, Scoop, Sogni e delitti si è trattato di esercizi più di matrice sociologica che d’ambiente, via progredendo fino alla trasparenza raggiunta in Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni che avrebbe potuto perfettamente essere ambientato nella sua New York.

Vista da qui, la vacanza romana è il passo più difficile dell’itinerario, soprattutto alla luce delle recenti rappresentazioni d’oltreoceano: vengono i brividi a pensare all’immagine che hanno dato della città la tappa obbligata del pessimo Mangia prega ama oppure la sbiadita parentesi iniziale del bollito La versione di Barney. Allen non è certo l’ultimo arrivato, ci mancherebbe. Ben diverse le sue melodie, così come le peripezie sentimental-affettive che muoveranno le (ir)resistibili chiacchiere da salotto del solito eterogeneo parco-attori. Ma Roma è pur sempre la stessa, una metropoli parecchio difficile da restituire su grande schermo, specialmente in questi ultimi anni in cui è sempre più chiusa in pochi e fastidiosi cliché.

Ad essere in ballo sono la percezione dell’altrove, lo stereotipo dell’esotico, il ricorso a simboli identificativi buoni al massimo per una palla di vetro che, agitata, libera una pioggerellina di bianchi fiocchi. Settare lo sguardo in una nazione straniera dopotutto è stato insidioso anche per un maestro come Clint Eastwood – il quale nel terzo francese di Hereafter non resiste e filma una scena inevitabilmente kitsch sotto alla Torre Eiffel – figuriamoci per tutti gli altri. A far sperare in qualcosa di buono c’è tra i film culto di Allen il felliniano Lo sceicco bianco, che ora meglio di prima fa star bene il cuore con immagini luminose, spazi aperti, scorci di forza accecante. Pietra miliare di un cinema che il regista dall’espressione triste e dalla battuta fulminante conosce, studia, venera da sempre.

Negli ultimi decenni, l’autore straniero che più si è avvicinato ad una visione del Paese tanto viva e vera è stato il solo Hayao Miyazaki con quel Porco rosso in cui sotto alle scritte italiane sbagliate si nasconde la restituzione dell’intero, la risalita verso la Storia, la cancellazione dell’odioso effetto cartolina.

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