Avevano promesso l’occupazione di piazza Tahrir e lo hanno fatto. Dopo tre giorni di permanente sit-in, i movimenti egiziani non sembrano avere alcuna intenzione di mollare, almeno non prima di aver ottenuto le necessarie garanzie sulla realizzazione delle loro richieste più urgenti:
1) rilascio dei civili già condannati da tribunali militari e cancellazione dei processi militari per i civili;
2) istituzione di un tribunale speciale per gli assassinii della “rivoluzione di gennaio”;
3) licenziamento dell’attuale ministro dell’Interno e riforma del ministero stesso;
4) licenziamento dell’attuale procuratore generale;
5) celebrazione del processo a carico di Mubarak e dei membri della sua cricca per i crimini politici commessi contro il popolo egiziano;
6) cancellazione dell’attuale bilancio pubblico e creazione di un nuovo bilancio che risponda alle domande fondamentali dei poveri della nazione. La bozza del nuovo bilancio dovrà essere sottoposta a dibattito pubblico prima di essere adottata;
7) chiara e aperta definizione delle prerogative del Concilio Supremo delle forze armate.
La partecipazione in piazza è stata finora massiccia. Gli organizzatori parlano di centinaia di migliaia di persone, ma il numero è variabile, considerato che il sit-in si protrae ormai da molte ore. In ogni caso, la solidarietà attorno al movimento “25 gennaio” cresce. Ad unirsi con esso, infatti, è giunta anche la “Federazione egiziana dei sindacati indipendenti” e altre manifestazioni di solidarietà si sono organizzate in altre città. A Port Said, inoltre, centinaia di manifestanti hanno iniziato lo sciopero della fame in segno di solidarietà con gli attivisti di piazza Tahrir. L’organizzazione dei “Fratelli Musulmani”, invece, – che vive ormai un conflitto interno molto acceso tra i vertici dell’organizzazione che mantengono un atteggiamento particolarmente ambiguo e la base che spinge per abbracciare la causa dei movimenti – si è affacciata venerdì in piazza, dove ha costruito anche un suo grande palco, ma dopo poche ore ha abbandonato la postazione dichiarando di non voler partecipare al sit-in.
La manifestazione, sinora, si è svolta pacificamente e in piazza Tahrir non si è visto nessun poliziotto, così come il governo provvisorio egiziano aveva già promesso ai manifestanti. Ma vi è di più. E’ di ieri sera la notizia del licenziamento di 700 poliziotti che si sono macchiati di crimini durante i giorni della rivolta contro Mubarak.
Le proteste di piazza Tahrir non sono però l’unico motivo di preoccupazione per l’attuale governo in carica. Il fronte caldo delle lotte sembra spostarsi sempre più verso il Canale di Suez, che sta diventando ormai il centro delle lotte dei lavoratori per l’aumento dei salari e il miglioramento delle condizioni lavorative. Dura da più di tre settimane, infatti, l’ultimo sciopero di 2.200 dipendenti dell’Autorità del Canale di Suez, i quali chiedono, tra l’altro, l’aumento del 40% dei loro salari.
Le ondate di scioperi che attraversano in questi giorni l’Egitto dipendono certamente dal nuovo clima politico che ora lì si respira, ma non possono neanche dirsi una assoluta novità. Secondo un recente rapporto sulle condizioni dei lavoratori in Egitto, tra il 2004 e il 2008, circa 1,7 milioni operai e manovali hanno partecipato a 1.900 scioperi. Questo dato – che, ovviamente, non comprende le proteste e le manifestazioni dell’anno scorso – rivela, meglio di ogni altro, il terreno sociale e politico in cui sono stati forgiati gli attuali movimenti.