Imprenditori puliti che ci mettono faccia e società. Imprenditori mafiosi che stanno dietro le quinte dell’appalto e incassano le commesse. Il gioco non è complicato. Le ultime inchieste sulla ‘ndrangheta a Milano lo hanno dimostrato chiaramente. Alla sbarra così sono finiti imprenditori dal pedigree rigorosamente padano come Maurizio Luraghi e Ivano Perego. Il primo accusato e condannato per associazione mafiosa. Il secondo ancora in attesa di giudizio. Grazie a loro i boss alla milanese si sono aggiudicati speculazioni edilizie e appalti pubblici. La Perego strade, addirittura, ha lavorato allo scavo per la costruzione della nuova sede del palazzo di Giustizia di Milano.

Eppure c’è dell’altro. Un azzardo ulteriore che ha portato gli uomini della ‘ndrangheta a ottenere appalti per la manutenzione degli impianti elettrici anche all’interno dell’attuale Tribunale del capoluogo lombardo. Il dato, inedito, emerge dalle pieghe degli atti dell’inchiesta Parco sud che il 3 novembre 2009 ha chiuso i conti con la cosca Barbaro-Papalia, famiglia di ‘ndrangheta da anni residente a Buccinasco, comune a sud-ovest di Milano. Di più: sempre le stesse persone riconducibili al clan e che, come i loro capi, nel gennaio 2010 saranno condannate in primo grado, sono riuscite ad aggiudicarsi appalti del Comune di Milano.

La storia inizia nell’inverno del 2008. In quel periodo, i boss della cosca si trovano in carcere. I gregari, invece, sono liberi e operativi. Due di loro, Franco Michele Mazzone e Nicola Carbone, stanno svolgendo lavori per conto della C.e.b. Electric di Caludio Papani, imprenditore di Novate milanese che non verrà sfiorato dall’inchiesta. Ecco, allora, cosa annotano gli uomini della Dia in un’informativa del 21 novembre 2008: “I lavori per conto di Papani sono quelli di un immobile nel comune di Andora e presso il palazzo di Giustizia di Milano”. I cantieri in Liguria riguardano una delle Casa vacanza di proprietà del comune di Milano. Un dato confermato dal documento dall’Ufficio strutture scolastiche. Secondo il quale Papani si è aggiudicato un appalto “per montanti e dorsali elettrici” del valore di 70mila euro. Oggi sul sito del comune di Milano la residenza viene descritta come “una splendida costruzione completamente ristrutturata, racchiusa tra pini e piante mediterranee, con accesso diretto alla spiaggia privata e priva di barriere architettoniche. Nel grande parco, vasti spazi di gioco e attrezzature sportive. Età degli ospiti: 6/11 anni”. Dalle intercettazioni, depositate agli atti dell’indagine Parco sud, emerge come Mazzone da questo lavoro voglia ricavare fino a 300mila euro. Un bel tesoretto che non fa gola solo a lui. In pista, infatti, c’è anche Giuseppe Andronaco (non indagato), imprenditore calabrese molto vicino al giovane Domenico Papalia, boss in ascesa con i giusti quarti di nobiltà mafiosa.

Insomma, le cosche in Lombardia arrivano ovunque e guadagnano su tutto. Il metodo, come si diceva, è sempre lo stesso. “Papani ha assunto alcuni dipendenti di Mazzone, non potendo quest’ultimo ricevere il subappalto”. Il perché lo racconta la storia criminale dello stesso Mazzone scritta dal gip Giuseppe Gennari nella sua ordinanza del 2009. Il giudice lo descrive come persona di fiducia di Salvatore Barbaro, il piccolo principe delle cosche, che ha sposato Serafina Papalia, figlia di Rocco Papalia, per anni reggente degli affari mafiosi al nord. Mazzone, secondo gli investigatori, si è preso l’incarico di minacciare Luraghi e la sua famiglia dopo che l’imprenditore ha deciso di collaborare con la magistratura.

Per conto della cosca Barbaro-Papalia, Mazzone ritira “somme di denaro nei cantieri dove l’organizzazione ha cointeressenze, fornendo la sua collaborazione per le esigenze quotidiane, quale gestore per conto della “ famiglia” degli affari illeciti, in particolare prendendo in affitto l’ appartamento di Assago via Caduti in cui si è nascosto il latitante Paolo Sergi“. Mazzone, inizialmente indagato anche per associazione mafiosa, alla fine verrà condannato a cinque anni e otto mesi per altri reati. Tra questi la detenzione “di armi comuni da sparo, alcune clandestine, armi e munizionamento da guerra, e una bomba a mano”. Dal suo curriculum spunta anche un bel po’ di droga, circa quattro chili di cocaina. Lo stesso spartito vale per Nicola Carbone condannato in primo grado a sei anni.

Il 29 ottobre 2008 Mazzone è al telefono con un tale Pasquale al quale conferma che si occuperà dei lavori elettrici all’interno del tribunale. Nello stesso giorno Claudio Papani chiama Mazzone per chiedergli i nomi delle persone che andranno a lavorare a palazzo di Giustizia. Due giorni dopo sono di nuovo al telefono. Papani comunica a Mazzone gli stipendi degli operai, dopodiché lo invita a mandare le carte d’identità degli operai. Quindi gli dice di “licenziare i ragazzi” per poi poterli assumere lui. Il 4 novembre successivo i lavori iniziano. Il giorno prima “Mazzone chiama Papani il quale gli dice che da domani i ragazzi possono iniziare a lavorare al Tribunale”.

A questo punto l’informativa della Dia conclude chiedendo all’autorità giudiziaria una proroga alle intercettazioni. Ad oggi l’inchiesta resta aperta. E Mazzone non è indagato per questa vicenda. Un fatto, però, è certo. Seguendo le tracce della ‘ndrangheta che fa affari in riva al Naviglio si rischia di imbattersi in storie come queste, che mettono in fila gli interessi mafiosi con appalti ad alto rischio come quello nel palazzo di Giustizia di Milano.

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