In Italia a picco i titoli bancari. Parigi, Madrid e Francoforte soffrono la speculazione dei fondi hedge statunitensi, con valutazioni in calo di più del 2%. Adesso l’Europa è chiamata a sostenere i suoi mercati con massicci acquisti. Sperando di tenere a bada gli speculatori
Un giorno di straordinaria follia. Piazza Affari chiude i battenti con la stessa soddisfazione del pugile suonato che sente l’ormai insperato rumore del gong. L’esito negativo della giornata, certo, era nell’aria, ma un simile tracollo non se lo attendeva nessuno. Dopo il collasso di venerdì, la Borsa di Milano brucia in una sola seduta quasi 4 punti percentuali, “celebrando” un’altra giornata funerea per il mercato italiano dove equities e bond sovrani fanno a gara a chi fa peggio registrando mano a mano un record negativo dietro l’altro. Solo che nel suo lunedì nero la Piazza milanese scopre di essere in buona compagnia, guidando dal basso, un’autentica carovana della disperazione. La vera novità della giornata, infatti, è propria questa: l’attacco speculativo orchestrato in primis dai fondi hedge non ha interessato soltanto la Penisola ma l’intero continente europeo.
Fanno sorridere, amaramente, le parole pronunciate soltanto ieri dal portavoce del presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy che, incalzato dai giornalisti, aveva voluto precisare l’assenza del tema della speculazione sui titoli italiani dall’agenda della riunione dell’Eurogruppo. La verità, purtroppo, è che al prossimo incontro non si dovrà parlare soltanto dell’Italia e dei suoi guai (enormi), quanto piuttosto di un intero continente finito anche per colpa sua nel tritacarne della speculazione internazionale. Quella per intenderci abilmente orchestrata dai fondi hedge di stanza sull’altra sponda dell’Atlantico. Il bollettino di guerra, perché di una guerra aperta si è in effetti trattato, è a dir poco sconvolgente. Francoforte ha chiuso con un pessimo -2,33%, Madrid ha registrato un pesante -2,57%, Parigi ha fatto addirittura peggio: -2,71% . Insomma, per un’Italia che affonda c’è un’Europa che non riesce a stare a galla, anche se in questo caso, soprattutto per noi, la consolazione del “mal comune” non ha proprio ragione di esistere.
Chi si illudeva che bastasse un semplice provvedimento di trasparenza – il famoso obbligo di comunicazione delle posizioni short – per limitare l’azione degli speculatori è stato clamorosamente smentito con tanto di beffa e scherno da parte di un mercato che ha dapprima regalato una piacevole illusione di perdita contenuta, salvo poi sbracare nella più cupa delle disfatte. Quando in mattinata l’osservata speciale Unicredit ha aperto con un rassicurante +2% in molti si sono dati una spiegazione più che logica: il titolo saliva perché gli speculatori stavano chiudendo le posizioni short. In sintesi: gli operatori che venerdì avevano preso “in prestito” i titoli di Piazza Cordusio per venderli in massa scatenando il ribasso avevano iniziato a ricomprarli per realizzare una plusvalenza. Ovvero, avevano completato la più classica delle operazioni di vendita allo scoperto facendo riguadagnare parte del valore all’azione. La speranza che il titolo potesse recuperare ancora è però venuta meno nello spazio di poche ore. A mezzogiorno, la banca guadagnava solo più lo 0,65%, registrando una discesa di giornata che avrebbe condotto al mostruoso meno 6,63% di fine contrattazioni.
Come è stato possibile? La spiegazione più plausibile è probabilmente la seguente. Dopo che gli hedge avevano fatto la loro parte, gli investitori “normali” hanno iniziato a vendere nella speranza di contenere le perdite subite venerdì. Poi verso le 15, ora dell’Europa, si sono svegliati gli investitori dall’altro lato dell’Atlantico e per il Vecchio continente è stato l’inizio del calvario. “Intesa sotto di 6 punti percentuali, Unicredit a picco, le piazze europee stanno perdendo pesantemente e adesso si sono messi pure ad attaccare la Francia e i suoi titoli di Stato. Non è possibile, queste operazioni andrebbero bloccate”, spiegava attorno a quell’ora il consigliere di Ifigest Filippo Montesi Righetti davanti ai monitor che segnavano grafici in picchiata. La verità, spiegava, stava nella materializzazione di quanto anticipato ieri dal Financial Times: i fondi hedge americani stavano colpendo i titoli di Stato italiani trascinando al ribasso l’intero mercato. Solo che ora gli speculatori non si accontentavano più di massacrare i bond di Roma (a fine giornata lo spread tra Btp e Bund decennali è arrivato al record di 305 punti base) o le banche del Belpaese. No, avevano ormai deciso di shortare tutto ciò che gli capitava per le mani vendendo senza ritegno le obbligazioni sovrane di Parigi manco fossero state la carta straccia di Atene. “Il famoso effetto valanga che conduce alla capitulation: tutti vendono, nessuno ha più fiducia, nessuno compra”, spiegava Montesi. Alla fine il differenziale di rendimento tra i decennali francesi e i corrispondenti tedeschi si è attestato a circa 65,6 punti base battendo il precedente record negativo di 62,8 datato 9 marzo 2009.
Il bilancio, come detto, è stato tragico. Ma parlare di instabilità e crisi del debito risulta comunque riduttivo. Il vero problema, come si è capito ampiamente oggi, è che a quasi tre anni di distanza dal fallimento della Lehman Brothers, vero e proprio spartiacque di una crisi divenuta da quel giorno pienamente sistemica, è che nessun regolatore sembra aver imparato la lezione. La finanza speculativa continua ad operare senza freni grazie a un sistema che la vede favorita in modo smaccato rispetto a qualsiasi altra forma di interazione sul mercato. Gli operatori più spregiudicati sono tornati a fare leva pagando margini minimi. A volte basta depositare il 5% della cifra per ottenere la quota restante in prestito. Una leva da 20 a 1 che permette ai fondi di moltiplicare i profitti producendo, però, lo stesso effetto espansivo sulle perdite patite dai titoli che sono oggetto di speculazione.
Chissà se a questo punto, con le ferite ancora aperte, i regolatori europei sapranno imporre uno stop agli hedge prima che l’economia reale subisca di riflesso ulteriori perdite. L’ipotesi più ottimistica, a questo punto, è che in attesa di una lista nera dei titoli non sottoponibili a posizioni ribassiste (come già accaduto nel 2008 per le equities più traballanti), le banche centrali e la stessa Bce si lancino nell’acquisto di titoli di Stato per sostenerne il valore lasciando al settore corporate (banche, assicurazioni ma anche i grandi gruppi industriali) il compito di fare la stessa cosa sulle loro azioni con una massiccia operazione di buy-back. Se la strategia funzionerà o meno lo si capirà probabilmente già da domani. Allacciate le cinture.