Concorso in bancarotta fraudolenta e usura aggravata. E’ per questi capi d’imputazione che la procura di Parma (in aula il Pm Vincenzo Picciotti, unico componente dell’originario pool di magistrati che diede inizio all’inchiesta sul crac Parmalat nel 2003) ha chiesto la condanna a sette anni di reclusione per Cesare Geronzi nella requisitoria per il processo Ciappazzi, nato da una ‘costolà dell’indagine sullo scandalo da 14 miliardi di euro del gruppo di Calisto Tanzi. Per Matteo Arpe, ad di Capitalia, la richiesta è stata di due anni e sei mesi per concorso in bancarotta prevedendo le attenuanti generiche, non contemplate per Geronzi.

Geronzi, che, all’epoca dei fatti, era presidente di Banca di Roma (poi Capitalia) e che poi è rimasto per molti anni uno degli uomini più potenti della finanza nazionale, secondo l’accusa avrebbe costretto Parmalat ad acquistare dal Gruppo Ciarrapico l’azienda di acque minerali siciliane Ciappazzi, ad un prezzo gonfiato (circa 15 milioni di euro) e con tassi da usura, facendo leva sulle necessità di liquidità del gruppo turistico Parmatour facente capo a Tanzi, che era “enormemente indebitato”.

Sempre secondo l’accusa, Banca di Roma voleva rientrare della forte esposizione di Ciarrapico. In cambio c’era un finanziamento per Parmalat. Il pm ha chiesto anche la condanna a quattro anni di Alberto Giordano, vicepresidente di Banca di Roma all’epoca dei fatti, a tre anni di Roberto Monza, direttore centrale dell’Istituto Banca di Roma, di Riccardo Tristano, ex componente del cda di Fineco Group (questi ultimi condividono l’accusa di usura aggravata con Geronzi) e di Antonio Muto, ex dirigente Area funzione crediti della stessa banca. E ancora: due anni e sei mesi per Eugenio Favale, all’epoca dei fatti dirigente Area grandi clienti di Banca di Roma e per Luigi Giove, all’epoca responsabile recupero crediti di Mediocredito Centrale. Per Arpe, Favale e Muto la Procura ha chiesto l’assoluzione per l’accusa di distrazione e per quella di bancarotta riferita alla Cosal, società del Gruppo Parmalat che acquistò la Ciappazzi. Chiesta l’assoluzione per Monza e Tristano per alcune ipotesi di bancarotta e per Giove per i capi d’imputazione che si riferiscono al concorso nella bancarotta Parmalat e di Parfin.

Per l’accusa, l’acquisto da parte di Tanzi della Ciappazzi è il frutto di un lungo lavoro e di difficili trattative intercorse tra i vertici di Banca di Roma e quelli di Collecchio. L’accusa ha cercato di riassumere i punti salienti di queste trattative passando in rassegna anche la storia del finanziamento “Bridge” da 50 milioni concesso da Banca di Roma a Parmalat ma immediatamente girato a Parmatour.

Lapidario il commento dei legali di Geronzi, Ennio Amodio e Francesco Vassallo: “Con la chilometrica lettura di una densa memoria il pm di Parma ha sorprendentemente collocato Calisto Tanzi sull’altare delle vittime. E ha affermato che sono, invece, i vertici della banca finanziatrice di Parmalat a dover rispondere di bancarotta, dimenticando, così, che l’ex patron del colosso alimentare di Collecchio è già stato condannato dal Tribunale di Parma proprio per questo reato”. Il collegio difensivo di Matteo Arpe, composto dagli avvocati Luisa Mazzola e Paolo Veneziani, chiederà la piena assoluzione del suo assistito.

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