La prima notizia è che finalmente si riescono a leggere i numeri di questa ultima manovra e che finalmente si esce dalla polvere di un opinionificio sulla finanziaria (che solo in questo paese eleva la pancia a bussola senza bisogno di leggere i numeri) producendo finalmente le chiavi di lettura per un’analisi. La promessa di azzerare il debito pubblico entro il 2014 (che è una delle tante promesse durata giusto il momento di una magra stampella qualsiasi di consenso) ha bisogno di circa 40 miliardi. All’appello, invece, mancano 15 miliardi che il governo ha pensato di affidare a una delega fiscale che ha tutta l’aria di essere la brutta copia della legge votata dal Parlamento nel 2003 (sul becero copia e incolla ha scritto un pezzo illuminante Cecilia Guerra) e che dovrebbe entrare in vigore dal 2013 con un nuovo governo in carica. L’avventatezza di una decisione del genere è tutta nei risultati dei mercati di questi ultimi due giorni.
Tagliati i trasferimenti alle regioni, alle provincie e ai comuni (già sull’orlo del dissesto) e alla spesa sanitaria (tesoretto di liquidità e consenso gestito dalle regioni). Il sogno del federalismo in questa manovra è uno spot a cui non crede più nessuno che brancola nel buio in mutande e pochi altri cenci.
Le entrate maggiori sono figlie delle imposte regressive (che in politica equivalgono ad un’ammissione di colpa) e sui piccoli e medi risparmiatori. A conti fatti la manovra (che potete scaricare qui) agisce per due terzi sulle entrate e per un terzo sulle minor spese.
Ma il cuore nero di questa manovra sta nell’assenza di un’idea di sviluppo. Nella perseverante incapacità di disegnare un futuro che non sia una salvezza con il naso a pelo d’acqua. Nella politica di salvarsi a tutti i costi per arrivare sani al tramonto senza nessuna idea di come respirare l’alba. Questa manovra (perché nelle manovre finanziarie si concretizzano in numeri le pratiche politiche) è la croce di una politica che deve resistere fino ad un minuto dopo aver recuperato tutti i naufraghi senza nessuno che tracci la rotta.
E la coalizione di centrosinistra, oggi più che mai, ha il dovere di raccontare l’alternativa. La sostenibilità dell’altra Italia che sia figlia del sentire comune. Perché non è il tempo del celodurismo di qualcuno nel centrosinistra. Non c’è tempo per giocare ad essere i migliori presbiti contro i miopi. E’ l’occasione per raccontare al Paese una pagina scritta. Insieme.