Come ogni anno, anche questa volta è arrivata la stagione in cui i media globali si occupano di caccia alle balene. L’occasione è la riunione, questa settimana sull’isola di Jersey, della International Whaling Commission (Iwc), l’organo che stabilisce tempi e modi di un’attività che sarebbe dovuta scomparire dal pianeta decenni fa.
Molti sono i motivi per cui la caccia alle balene è anacronistica. In primo luogo è inaccettabilmente crudele. In mare la certezza dell’uccisione immediata e indolore è impossibile, e se sapessimo che anche i bovini vengono macellati arpionandoli nel fianco da un veicolo che li insegue nelle loro pasture, per poi essere trascinati attaccati all’arpione finché muoiono, credo che resterebbero in pochi a continuare a mangiar bistecche. In secondo luogo, in un mondo in cui l’ambiente marino subisce crescenti insulti per opera delle attività umane – pesca, inquinamento chimico e acustico, distruzione degli habitat, cambiamenti climatici, ecc., insulti particolarmente dannosi per i grandi animali ai vertici delle reti alimentari che si trovano a vivere in un mare ogni giorno un po’ più inospitale – uccidere le balene, anche quelle considerate meno minacciate, è pura follia.
Infine e soprattutto, cacciare le balene non serve a nessuno, perché il mercato della carne di cetaceo si è negli anni ristretto a nicchie localizzate, e continua in un calo verticale. La carne di balena non è un granché, e perfino in Giappone le nuove generazioni preferiscono un Big Mac. Mentre carne e grasso dei cetacei si accumulano inutilizzati nelle celle frigorifere di Tokyo, Oslo e Reykjavík, finendo perfino nelle scatolette per cani, vien da chiedersi il perché tanta caparbietà a continuare con una caccia che, in aggiunta a tutti i problemi sopra elencati, costituisce un notevole costo per il contribuente. Le spiegazioni sono tante e complesse: per esempio, interessi di lobby corrotte e di parte ma potenti; rigurgiti nazionalistici; o anche timori per la creazione di un precedente in cui la pressione internazionale interferisce con il prelievo di risorse marine, considerato dai giapponesi un diritto divino inalienabile.
Quando la Iwc iniziò a operare nel 1949, la sua membership era limitata alle nazioni che praticavano la caccia alle balene. Nei decenni successivi molte di queste nazioni abbandonarono le attività per motivi sia economici che etici, ma rimasero nell’Iwc; a queste se ne aggiunsero via via molte altre (oggi i membri della Iwc sono 89) che con il loro voto contrario vollero dare un contributo alla salvaguardia di animali così speciali e simbolici, ormai considerati un retaggio planetario. Tra queste nazioni vi fu l’Italia, che ratificò la Convenzione sulla caccia alle balene nel 1998 soprattutto grazie all’interessamento dell’ex ministro dell’ambiente e commissario Ue Carlo Ripa di Meana, e con l’appoggio di Susanna Agnelli, allora ministro degli esteri; il che diede a molti di noi l’opportunità di entrare nel ring e prendersi a pesci in faccia – quasi letteralmente – con giapponesi, norvegesi e islandesi. L’ago della bilancia dei voti nella Iwc sarebbe stato comunque decisamente in favore di chi la caccia alla balena la vuole abolire, se non fosse per la campagna acquisti intrapresa dal Giappone, che valse ai balenieri il sostegno di numerosi staterelli dei Caraibi, del Pacifico e dell’Africa occidentale, in cambio di aiuti economici nonché corruzione diretta dei funzionari mediante beni e servizi (escort incluse).
Al momento attuale vige dal 1986 una moratoria sulla caccia alla balena ottenuta grazie alla maggioranza anti-baleneria che il Giappone non è mai riuscito a sconfiggere malgrado i suoi sforzi sopra- e sottobanco. Ciò malgrado, migliaia di balene vengono ancora uccise ogni anno: da Norvegia e Islanda che obiettarono alla moratoria, dal Giappone che si avvale della possibilità di cacciare “per scopi scientifici” prevista dalla Convenzione (chiaramente un sotterfugio) e da cacciatori di sussistenza, per lo più Inuit, dislocati ai margini del Circolo polare artico.
Negli ultimi decenni la Iwc ha sofferto di una situazione di stallo tra le opposte fazioni, e nulla lascia presumere che le cose quest’anno vadano diversamente. Degna di nota è una risoluzione presentata dalla Gran Bretagna volta ad aumentare la trasparenza e lasciar meno spazio alla corruzione. Sforzo lodevole, ma pare un po’ come cercare di ripulire una motocisterna per liquami, scrostandone le pareti dall’accumulo decennale di rifiuti, per adibirla al trasporto di latte: meglio sarebbe rottamarla. La Convenzione e l’Iwc andrebbero abolite, e la tutela delle balene trasferita sotto l’ombrello delle Nazioni Unite mediante organismi internazionali più moderni e appropriati, per esempio la Convenzione sulle specie migratrici. Purtroppo questo non è possibile perché per abolire una Convenzione occorre il consenso di tutte le parti, cosa dalla quale in questo momento siamo ancora ben lontani.