“Con l’Eni è finita per davvero”: lo ha detto il primo ministro libico Al Baghdadi Ali al Mahmoudi in una conferenza stampa a Tripoli. Al Mahmoudi ha detto che non “ci saranno più partenariati con l’Eni e l’Italia per il futuro non otterrà alcuna partecipazione nei contratti petroliferi in Libia”. L’annuncio, finora non commentato dal quartiere generale del cane a sei zampe, mette a rischio 30 miliardi di dollari di investimenti Eni in Libia, paese dove la compagnia petrolifera italiana è presente dal 1950. Meglio, metterebbe a rischio questi investimenti se il regime di Tripoli – che ha anche una quota di partecipazione in Eni – avesse il controllo completo del territorio. La decisione del regime è una ritorsione per la partecipazione italiana ai raid della Nato contro le truppe rimaste fedeli al colonnello Gheddafi e Mahmoudi ha criticato davanti alla stampa internazionale il fatto che l’Italia abbia «violato» il trattato di amicizia firmato da Berlusconi e Gheddafi nel 2008.

La mossa di Tripoli sembra più un cuneo per accentuare le perplessità che sulla guerra in Libia circolano nella maggioranza di governo a Roma, dove la Lega, dall’inizio contraria ai bombardamenti, avrà un nuovo argomento a suo favore. La natura politica dell’annuncio di Tripoli (peraltro tecnicamente piuttosto complicato da realizzare) viene evidenziata dal fatto che Mahmoudi non ha chiuso del tutto la porta alle compagnie petrolifere francesi e statunitensi, nonostante la Francia sia stata il paese più deciso nella costruzione dell’architettura politica che ha permesso i raid e gli Usa siano uno dei paesi più impegnati nell’appoggio ai ribelli di Bengasi. Secondo Mahmoudi, Parigi e Washington starebbero «rivendendo le loro posizioni» rispetto al futuro del regime libico, un’ipotesi che non trova molti riscontri né sul campo né nella diplomazia.

Forse proprio sul campo andrebbero cercate le ragioni di una decisione che, per quanto fosse nell’aria, fa comunque rumore. Secondo l’emittente panaraba Al Jazeera, infatti, i ribelli si stanno preparando a una nuova offensiva, diretta verso il porto petrolifero di Brega, al centro della costa libica e già più volte perduto e riconquistato dalle truppe di Gheddafi. Con il governo provvisorio di Bengasi che ha già iniziato a esportare greggio per finanziare la guerra contro Gheddafi, Brega rimane l’unico grande terminal petrolifero ancora in mano alle truppe lealiste e forse non per molto. La produzione di greggio, peraltro, è praticamente ferma.

Ad accentuare i timori di azioni disperate del regime libico, sul quotidiano russo Izvestia è apparsa un’intervista a Mikhail Margelov, inviato speciale del Cremlino in Africa. Secondo Margelov, il primo ministro Al Mahmoudi avrebbe detto, nel corso di un incontro a Tripoli, che se i ribelli avanzeranno sulla città il regime è pronto a farla esplodere e «sommergerla di missili». Margelov ha detto di non condividere la visione statunitense secondo cui le truppe di Gheddafi sarebbero a corto di munizioni e molto indebolite: «Forse sono a corto di tank e proiettili, ma non hanno finora sparato un solo missile terra-terra e ne hanno veramente tanti».

La diplomazia, comunque, cerca di muoversi. Oggi a Bruxelles c’è stato un incontro tra il numero due del Consiglio Nazionale di Transizione libico Mahmoud Jibril e il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy. «L’Unione europea è pronta ad aiutare un processo di transizione inclusivo per una soluzione politica di questa crisi – ha detto il presidente Van Rompuy – Sappiamo che questo richiederà uno sforzo collettivo e coordinato, all’interno e all’esterno della Libia e anche se la soluzione non è ancora dietro l’angolo, questo incontro ha rafforzato la mia fiducia che ci arriveremo. Nel contesto post Gheddafi, «il Cnt ha un ruolo chiave da giocare», ha aggiunto Van Rompuy, sottolineando che «diritti umani e Stato di diritto devono diventare parte del Dna della nuova Libia». «Abbiamo bisogno – ha proseguito il presidente Ue – che la ripresa economica metta radici velocemente. La fase successiva al conflitto è già cominciata ad est, ma deve abbracciare l’intero paese: una Libia divisa e senza governo non è nell’interesse di nessuno».

L’appuntamento, adesso, è per la fine di questa settimana in Turchia, per la riunione del Gruppo di Contatto sulla Libia, di cui fanno parte sia i paesi occidentali che quelli arabi, oltre al Cnt libico. La Turchia ha esplicitato qualche settimana fa il suo appoggio al Cnt, considerato anche da Ankara il legittimo rappresentante del popolo libico. Oltre la decisione cinese di non partecipare alla riunione perché «il metodo e gli obiettivi di questo gruppo di contatto hanno bisogno di ulteriore studio» – ha detto il governo di Pechino in una nota – per il regime di Gheddafi non ci saranno novità positive. Un’uscita di scena negoziata sembra ancora improbabile come quattro mesi fa, quando iniziarono i bombardamenti Nato. Il tempo gioca a favore delle truppe del Cnt, che ora sono meglio equipaggiate e addestrate. Grazie anche ai rubinetti petroliferi che il regime vuole far credere di poter ancora chiudere.

di Joseph Zarlingo

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