Il giorno dopo le tre bombe che hanno causato una ventina di morti e più di centotrenta feriti, Mumbai, la «Maximum city» dello scrittore Suketu Mehta, è tornata al suo caos infinito, appena attenuato dalla paura e dalle prime piogge monsoniche. Nel quartiere dei venditori di diamanti e dei gioiellieri, Zaveri Bazar, dove ieri è esplosa una delle bombe, si raccolgono vetri e preziosi. Attraverso Twitter, un gioielliere di Zaveri ieri commentava che è sorprendente l’assenza di misure di sicurezza in quella zona della città. Secondo lui, è perché per un tacito accordo tra polizia e malavita, quella zona era in un certo senso «franca», visto che tutti avevano interesse che il mercato dei preziosi si svolgesse senza intoppi.
Nella zona dell’Opera House, dov’è esploso il terzo ordigno, non lontano dalla popolare Chowpatty Beach e dall’affollata Marina Drive, la polizia indiana lavora alla ricerca di indizi utili a capire che chi possa aver colpito, di nuovo, il centro finanziario dell’India, la capitale del Maharashtra, un incredibile ed esuberante mostro urbano da almeno 16 milioni di abitanti.
Dalle prime ore del giorno, a Dadar, nella zona centrale della città, dove è esplosa la seconda bomba, decine di curiosi si accalcavano attorno alle transenne della polizia. E il servizio ferroviario metropolitano, usato ogni giorno da centinaia di migliaia di persone in treni affollatissimi, andava a rilento più per le piogge torrenziali che per le conseguenze delle bombe.
Il primo ministro del Maharashtra, Prithviraj Chavan, ha detto che le famiglie delle vittime riceveranno una compensazione di 500 mila rupie (circa 8 mila euro), mentre i feriti avranno 50 mila rupie (circa 800 euro).
Le autorità indiane, sia quelle del Maharashtra che quelle federali, iniziano intanto a dare qualche particolare sul triplice attentato. Secondo il ministro dell’interno Palaniappan Chidambaram, gli attacchi sono stati ben coordinati, con i tre ordigni che sono esplosi nel giro di dieci minuti, tra le 18,55 e le 19,05, nell’ora di punta. La miscela esplosiva era a base di nitrato di ammonio e al contrario di quanto era stato detto subito dopo le esplosioni, non si trattava di bombe artigianali ma di ordigni «con un certo livello di sofisticazione». Non esplosivo militare, comunque, i cui effetti sarebbero stati più devastanti. Chidambaram ha anche fornito alla stampa indiana ulteriori dettagli sulla dinamica degli attentati: la bomba all’Opera House era piazzata sotto un cassonetto per l’immondizia, mentre quella esplosa a Dadar era su un autobus. Quella del mercato di Zaveri, invece, era nascosta in un ombrello «abbandonato» vicino a una motocicletta. Le bombe sarebbero state innescate sul posto, senza comandi a distanza, ma si esclude per ora che ci siano stati attentatori suicidi.
Le autorità indiane sono molto prudenti nell’indicare possibili responsabili degli attentati che finora non hanno avuto rivendicazione. Chidambaram ha detto ai cronisti che «tutti i gruppi ostili all’India» sono sospettati, ma non ne ha indicato nessuno in particolare. Le illazioni della strada riportano a un presunto collegamento tra gli attentati di ieri e l’attacco del novembre 2008 condotto da Lashkar-e-Toiba, un gruppo armato con basi logistiche e politiche in Pakistan. Le modalità d’azione però sono molto diverse. Tre anni fa, infatti, l’azione fu condotta da un commando con addestramento militare e solo uno degli armati, Ajmal Kasab, oggi sotto processo con il rischio di una condanna a morte, riuscì a sopravvivere all’intervento delle forze speciali dell’esercito indiano.
Gli ordigni di ieri ricordano più da vicino un altra serie di bombe che colpì Mumbai nel 1993, causando oltre 250 morti. Le indagini allora si orientarono verso la D-Company, un gruppo criminale quasi mitico dell’«underworld» della metropoli indiana. La D-Company è guidata da Dawood Ibrahim, uno dei criminali più pericolosi del mondo, che si crede viva all’estero. L’inizio della sua carriera criminale è stato raccontato in diversi film di Bollywood, il più recente l’anno scorso intitolato «C’era una volta a Mumbai». Secondo la Research and Analysis Wing, il servizio di intelligence indiano, Dawood potrebbe essere «ospitato» dal Pakistan, il cui governo però nega decisamente e ha anche mandato le proprie condoglianze all’India per le vittime degli attentati di ieri. L’Fbi statunitense considera che Dawood, forse latitante negli Emirati Arabi o in altri staterelli del Golfo Persico, possa aver avuto in passato legami con Al Qaida, ma non ci sono state prove evidenti di questo legame, tranne il background musulmano di Dawood, che gode di una certa popolarità nei quartieri musulmani di Mumbai.
All’inizio di quest’anno, peraltro, il Central Bureau of Investigation (Cbi, l’Fbi indiana), aveva lanciato un allarme proprio per possibili azioni della D-Company per bloccare le indagini avviate dall’equivalente della Corte dei conti sullo scandalo per l’assegnazione delle licenze per la telefonia cellulare 2G. Le indagini avevano dimostrato che le licenze erano state concesse sottocosto, causando all’erario federale un danno da decine di miliardi di dollari, data l’estensione del mercato indiano, con centinaia di milioni di potenziali clienti. Tra le società che avevano ricevuto una licenza, inoltre, almeno una era riconducibile, secondo gli inquirenti, alla rete di interessi di Dawood. Lo scandalo, che la stampa indiana segue ormai da mesi, ha fatto emergere una rete di corruzione e complicità molto estesa e secondo la nota diramata a marzo dal Cbi, la D-Company avrebbe potuto addirittura tentare di attaccare il quartiere generale dello stesso Cbi, a New Delhi, per distruggere i documenti dello scandalo 2G.
Tocca alla polizia di Mumbai, appoggiata da quella federale, cercare di capire se siano stati proprio quelli della D-Company a colpire ieri o se invece gli attacchi siano un’altra ennesima mossa della partita a scacchi con l’arcinemico pakistano, evocato in continuazione ogni volta che l’India subisce un trauma, ma spesso usato come spauracchio per evitare di affrontare i fantasmi e le ombre intense di un paese-mondo dalle infinite sfaccettature.
di Joseph Zarlingo