L'impunità scricchiola con il caso Papa, Berlusconi chiama alla resistenza contro i magistrati ma Bossi si sfila. Approvata la finanziaria "lacrime e sangue", Tremonti lancia strani messaggi. E se il peggio dovesse ancora arrivare?
Panico a Palazzo, un continuo evocare i vecchi fantasmi, quelli del 1992-1993: le casse dello Stato esangui, l’inchiesta Mani pulite, gli intoccabili in manette, il crollo del sistema, i potenti messi improvvisamente da parte dopo regni decennali. Nei giorni della finanziaria lacrime e sangue e del primo sì all’arresto del deputato Alfonso Papa, i fantasmi tormentano innanzitutto Silvio Berlusconi: “Stiamo tornando al clima di Tangentopoli, Dobbiamo reagire, impedirlo a tutti i costi”, ha detto il presidente del consiglio ai suoi, in uno sfogo ripreso dalle agenzie di stampa. E’ la “gogna giudiziaria”, ma questa volta i magistrati vanno bloccati prima che sia troppo tardi, per le richieste di arresto già pervenute e per quelle che – secondo i boatos che percorrono il Parlamento – arriveranno a breve. “E’ arrivato il momento di dire basta, non dobbiamo mollare, altrimenti si rischia di fare come nel ’92”.
Dire basta, però, non è facile, se il grande alleato degli ultimi dieci anni si mette di traverso a muso duro: “In galera”, ha sibilato Umberto Bossi a proposito di Papa. La Lega ha già annunciato che voterà a favore del suo arresto, quando il caso arriverà alla Camera, e già oggi l’astensione dei suoi due rappresentanti nella Giunta per le autorizzazioni a procedere è stata determinante. E non è che apra grandi spiragli sull’altro caso caldo, quello di un altro deputato Pdl inseguito da una richiesta di arresto, Marco Milanese.”Poi ci pensiamo, una cosa alla volta”, si è limitato a dire Bossi. Altri fantasmi: il grande tradimento del 1994, quando la Lega fece cadere il primo governo del Cavaliere, il cappio sventolato in Parlamento dal deputato del Carroccio Luca Leoni Orsenigo. Intanto il tribunale del riesame conferma gli arresti domiciliari a Luigi Bisignani. Un simbolo anche lui, inguaiato con la legge tanto nella prima quanto nella seconda Repubblica.
Non poteva mancare, nella rievocazione che semina panico, la scena simbolo di Bettino Craxi all’hotel Raphael di Roma .“Il presidente del Consiglio è a rischio monetine“, dichiara Carmelo Briguglio di Fli, “e poiché è un uomo intelligente, negli ultimi tempi non solo non parla, ma scansa tutte le manifestazioni pubbliche, da Lampedusa ai funerali del nostro militare caduto in Afghanistan. Gli consigliamo sinceramente di lasciare Palazzo Chigi, la protesta contro il governo sta montando nel Paese”. Intanto, come sempre accade in Italia quando la politica si avvita nella spirale dell’inefficacia e del malaffare, si fanno i nomi dei “tecnici” che potrebbero raddrizzare le cose. Il nome che circola è quello di Mario Monti. Un classico.
La prima Repubblica finì con Tangentopoli e con una voragine nei conti pubblici. Con la lira sotto atrtacco della speculazione internazionale, nel luglio del 1992 il presidente del consiglio Giuliano Amato varò una Finanziaria-mostro da 100 mila miliardi di lire, con tanto di prelievo forzoso dai conti correnti degli italiani. Vent’anni dopo, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti descrive la prospettiva delle finanze pubbliche con il più celebre dei naufragi: il Titanic. E avverte che “neanche i passeggeri di prima classe si salvarono”. Sfiorato anche lui dalle inchieste giudiziarie, in particolare con il caso Milanese, Tremonti lancia strani messaggi a chi fin dalla discesa in campo l’ha sempre voluto al suo fianco. Alla buvette di Montecitorio, dopo l’approvazione della Finanziaria alla Camera, dice ai cronisti di non aver nulla da dichiarare. Ma butta lì la citazione di due libri di Georges Simenon, “Tre camere a Manhattan” e “Il Presidente”. La storia, quest’ultima, di un uomo molto ricco e potente, in procinto di diventare, appunto, presidente. Ma siccome è vecchio e malato, viene controllato perché qualcuno lo ritiene pericoloso. Sullo sfondo un gioco di ricatti e documenti compromettenti tra lui e un suo ex collaboratore in carriera.
Le suggestioni si affollano, ma i fatti, in fondo, sono ancora poca cosa rispetto agli anni ribollenti di Tangentopoli. Almeno i fatti di dominio pubblico. Forse, nel Palazzo in preda al panico, ne conoscono e temono di inediti e più gravi.