Interrogato per due ore in procura, il direttore del Tg1 non è riuscito a giustificare le esose spese fatte con la carta di credito aziendale per cui è indagato per peculato. Nel frattempo, il Cda della Rai pensa alla sua rimozione entro settembre
Il direttorissimo è sempre più solo: il consiglio d’amministrazione di Viale Mazzini si sta preparando a dargli il benservito entro settembre, ma la notizia che lo avrà fatto saltare sulla sedia l’ha appresa ieri durante l’interrogatorio con il procuratore aggiunto Alberto Caperna che lo sta indagando per le sue spese folli fatte a carico di chi paga il canone: 68mila in soli 15 mesi. Il doppio delle spese del presidente e del direttore generale.
Ieri il Minzo ha scoperto di essere stato mollato anche da uno dei suoi più strenui sostenitori: l’ex direttore generale della Rai Mauro Masi.
Durante le due ore di colloquio, a un certo punto il procuratore cala l’asso: un verbale del 16 giugno in cui Masi dichiara di non aver mai autorizzato i rimborsi spese del direttorissimo. Minzolini a quel punto è saltato sulla sedia, limitandosi a ripetere che aveva restituito tutti i soldi.
Peccato che non sia riuscito a giustificare i dettagli delle singole trasferte. Molte delle quali sono state fatte nei finesettimana, fra cui un weekend a Grosseto da 550 euro a notte al prestigioso Saturnia Resort.
In caso di rinvio a giudizio, Minzolini verrebbe sospeso dall’azienda. Ma i vertici di Viale Mazzini preferirebbero evitare la cacciata dell’ex notista politico della Stampa per guai giudiziari. Meglio inchiodarlo alle sue responsabilità per aver devastato il Tg1.
L’inchiesta era nata da due esposti: il primo presentato dall’Italia dei valori e il secondo da un’associazione di consumatori. Per gli inquirenti, l’apertura del fascicolo era un “atto dovuto” alla luce dei documenti acquisiti dalla Guardia di finanza e degli atti dell’indagine svolta all’interno della Rai.
Ai tempi (siamo a maggio) Minzolini gridò al complotto: “Un’indagine dalla strumentalità più che evidente. Nata dall’esposto di un partito politico”. Ma diceva di essere più che tranquillo. Effettivamente il direttore era ancora Masi (che quando emerse lo scandalo si limitò a emanare una circolare che tagliava le spese del 30 per cento) e in cda l’ordine di batteria era ancora quello di difendere senza se e senza ma il direttore del tg della rete ammiraglia, i suoi editoriali pro-Berlusconi e i suoi servizi su cani e maggiordomi.
Ora che gli inserzionisti hanno staccato la spina e la Sipra (la concessionaria per la raccolta pubblicitaria dell’azienda) ha lanciato l’allarme, il vento è cambiato. Anche Antonio Verro, il più minzoliniano dei consiglieri di maggioranza ammette: “Ascolti e conti vanno male. Ma non solo per colpa sua”.