Gli istituti italiani sono solidi e per questo in grado di resistere agli eventi sfavorevoli del mercato. Lo dicono gli ultimi stress test condotti dall’autorità bancaria europea. Ma l’attendibilità dell’esame è ancora oggetto di dibattito. E il suo esito, in ogni caso, non mette completamente al riparo da nuove ondate di speculazione
La notizia era ampiamente nell’aria ma adesso è arrivata anche la conferma ufficiale. Le banche italiane evidenziano la propria solidità patrimoniale superando l’esame degli stress test, le prove teoriche di “resistenza” alle avversità della crisi imposte anche quest’anno dalla European Banking Authority. Disco verde, dunque, per le italiane Unicredit, Intesa Sanpaolo, Ubi, Banco Popolare e Monte dei Paschi, promosse all’esame al termine di una settimana che i loro azionisti faticheranno a dimenticare. Un risultato, come detto, che non stupisce visto che ad anticipare l’esito degli esami era stato niente meno che il governatore uscente di Bankitalia e futuro numero uno della Bce Mario Draghi che, già qualche giorno fa, aveva sottolineato il rassicurante stato patrimoniale degli istituti italiani.
Pensati per valutare la forza e resistenza delle banche private, gli stress test non sono altro che simulazioni teoriche con le quali vengono giudicate le differenti capacità di reazione dei soggetti in esame di fronte all’impatto di avvenimenti critici del mercato. In sostanza si tratta di definire in anticipo gli effetti negativi di alcuni eventi “ribassisti” misurando, ad esempio, le perdite cui andrebbe incontro una banca in caso di svalutazione di una parte dei titoli in suo possesso (come per esempio le obbligazioni sovrane dei Paesi a rischio). Determinante, in questo senso, diventa il peso del patrimonio di prima qualità, il cosiddetto Tier-1, ovvero la somma del capitale azionario, delle riserve e dei titoli ad alta qualità (come le azioni privilegiate) in mano agli istituti. Quanto maggiore è la presenza di questi elementi tanto più al sicuro saranno le banche stesse.
Nel caso italiano, aveva sottolineato Draghi, non dovrebbero esserci problemi. Il Tier-1 medio delle più grandi banche della Penisola si attesta infatti a quota 8,6% contro un limite di sicurezza pari al 5%. In altre parole, il patrimonio più liquido degli istituti italiani (quindi le riserve, il capitale azionario e i titoli privilegiati) è giudicato sufficientemente alto da tenere al riparo questi ultimi dalle conseguenze negative di una nuova ondata di crisi sul mercato europeo. Una buona notizia, insomma, che caratterizza per altro la stragrande maggioranza degli istituti continentali. Sui 90 presi esame, infatti, si parla oggi di appena 8 bocciature. Il semaforo rosso, riporta il Sole 24 Ore, sarebbe scattato per cinque istituti spagnoli, due banche greche una austriaca. Queste ultime saranno ora chiamate a ricapitalizzarsi raccogliendo liquidità sul mercato, ovvero emettendo obbligazioni, o, in alternativa, ricevendo un finanziamento pubblico. Il che, di fatto, si tradurrebbe in un nuovo sforzo di sostegno scaricato sui contribuenti (che in Spagna e Grecia – di questi tempi è quasi superfluo ricordarlo – non se la passano certo molto bene).
Il risultato complessivo ottenuto dal sistema bancario europeo appare quindi positivo ma le insidie rimangono dietro l’angolo. Un po’ perché l’ondata ribassista manifestatasi questa settimana nelle borse del continente ha dimostrato ancora una volta come i grandi speculatori non guardino ormai più in faccia a nessuno, colpendo in modo indiscriminato ogni volta che ne viete data loro la possibilità. Un po’ perché a finire sotto accusa, già in passato, era stata la stessa attendibilità degli stress test, da molti giudicati troppo poco severi e per questo non sufficientemente validi. Nell’esame condotto lo scorso anno quasi tutte le banche europee ottennero l’agognata promozione. Tra queste alcuni pezzi grossi come la britannica Barclays, la spagnola Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (Bbva), la svizzera Ubs e le italiane Ubi e Intesa Sanpaolo. Un risultato positivo che però non convinse a sufficienza, tra gli altri, i gestori di Noster Capital, fondo speculativo (hedge fund) di base a Londra che, lo scorso mese di agosto, annunciò la propria intenzione di puntare ai cinque colossi di cui sopra attraverso la vendita allo scoperto. Vale a dire la stessa famigerata strategia che tra giovedì della scorsa settimana e la mattinata di martedì ha eroso pesantemente il valore delle azioni delle banche italiane. Un precedente che preoccupa. E che di questi tempi, va da sé, potrebbe non fare nemmeno più notizia.
GLOSSARIO
Tier-1 Capital: La somma del common equity e di altri strumenti finanziari giudicati di qualità primaria. Il common equity non è altro che il cosiddetto “patrimonio di base” e consiste nella somma del capitale della banca (azioni ordinarie) e delle riserve detenute. Il Tier-1 si calcola quindi aggiungendo al patrimonio base il valore dei titoli ad alta qualità come le cosiddette azioni privilegiate, ovvero quei titoli che danno diritto a una quota determinata degli utili distribuita prima della determinazione dei dividendi delle azioni cosiddette ordinarie. Si calcola come “ratio”, ovvero in rapporto percentuale con il patrimonio totale della banca (che comprende tutti gli investimenti di quest’ultima).