L'ex procuratore antimafia spiega come sono nate le infiltrazioni della grande criminalità, soprattutto in Toscana ed Emilia Romagna. Quali ambizioni hanno, il potere economico che controllano
È stato Procuratore Nazionale Antimafia per otto anni, dal 1997 al 2005, quando è stato costretto a lasciare l’incarico per raggiunti limiti di età. A 68 anni Piero Luigi Vigna ha voglia di parlare, raccontare e ripercorrere i capitoli più oscuri del secondo Novecento italiano.
Lo fa con un libro, “In difesa della giustizia”, scritto insieme al giornalista Giorgio Tosi Sturlese, che Vigna ha presentato a Bologna rispondendo alle domande della professoressa dell’Ateneo bolognese, Stefania Pellegrini, docente di sociologia del diritto e titolare della cattedra Mafia e Antimafia, un corso che analizza in chiave sociologica e giuridica la portata della criminalità organizzata. Il libro ripercorre una grossa fetta della Storia italiana, attraverso le numerose e importanti indagini che il magistrato ha condotto nella sua lunga carriera. Stragismo degli anni di piombo, delitti del Mostro di Firenze, i rapimenti dell’Anonima sequestri, le trattative Mafia-Stato.
Dottor Vigna, lei ha combattuto per anni Cosa Nostra, Camorra e ‘ndrangheta, anche e soprattutto da Procuratore Nazionale Antimafia, ma qual è stato il momento storico in cui le famiglie hanno iniziato a spostarsi al Nord e ad investire in questi territori?
Il primo momento credo che sia stato molto risalente, cioè quando alcuni mafiosi o camorristi sono stati inviati al soggiorno obbligato anche in Emilia Romagna.
Da quel momento iniziano i loro affari al Nord?
Certamente. L’illusione era che lo spostamento coatto potesse rompere i rapporti con le persone d’origine e con le famiglie. In realtà il mafioso trasferito coattivamente si è portato dietro non solo i familiari, ma anche i suoi soci in affari. Si sono poi stabilizzati e hanno creato le radici per le loro attività.
In Regione fortunatamente scorre poco sangue, ma di denaro sporco invece ne gira a fiumi…
Il sangue non conta molto. Oggi il vero capitale delle organizzazioni sono le relazioni sociali, i rapporti con le persone del luogo. Che sono prevalentemente instaurate col mondo imprenditoriale e anche con quello amministrativo politico. Non c’è alcun bisogno di far scorrere il sangue. Quella è l’ultima ratio, meglio il silenzio.
Ma qual è il motivo per cui hanno avuto una presa facile sul territorio?
Questo è difficile da spiegare. Soprattutto quando penso alla grossa attività informativa sul pericolo mafioso che si è fatta in Emilia Romagna o anche in Toscana. Ma nonostante ciò sono entrati nel tessuto sociale e lo hanno impregnato. L’interesse denaro e il profitto hanno fatto da padroni della situazione.
Quindi connivenza e omertà stanno alla base di questa piovra?
Credo di sì. In fondo la società è fondata sul profitto e non sugli ideali, e questo fa portare ad ogni cosa. La voglia di raggiungerlo è tanta e per farlo si è omertosi e conniventi.