Era quasi divertente (e al tempo stesso abbastanza sconfortante) seguire giorni fa,
proprio in questo sito, la sequenza dei commenti indignati, sull’insultante andante,
al post di Francesco Sylos Labini, figlio di uno dei più grandi economisti del
Novecento, il quale metteva in discussione lo statuto di scientificità del pensiero
economico.

Tesi risalente al tempo lontano in cui il filosofo tedesco Wilhelm Dilthey (1833-1911) avanzò la distinzione tra “scienze della natura”, che individuano leggi causali verificabili attraverso l’esperimento, e “scienze dello spirito” (economia, sociologia, antropologia culturale, ecc.), che si limitano a offrirci modelli probabilistici valutabili a posteriori.

Io e qualche collega ci spingiamo ancora più in là, sostenendo che l’economia e simili (con allegati modellini matematici e diagrammi vari acchiappacitrulli) sono semplicemente “generi letterari”.

Comunque, dopo tutte le clamorose smentite fioccate in questi ultimi anni sulle pretenziose profezie fasulle dei guru dell’economicismo egoistico (la scuola Neoliberista/Mercatista dominante da trent’anni, che propugna la tirannide del
fantomatico “decisore assolutamente razionale”), sottolinearne ancora la devastante
vacuità sembrava quasi un esercizio del tipo “sparare sulla Croce Rossa”.

L’editore Chiarelettere ha pubblicato nel 2009 un saggio del valoroso giornalista Roberto Petrini, che raccoglie puntigliosamente le incredibili “toppate” di tali
sedicenti guru (“Processo agli economisti”), e chi ricerca ulteriori pezze d’appoggio
al riguardo può andare a leggerselo.

Colpiti… affondati… O almeno così pareva. E invece questi signori sono tornati all’attacco. C’è chi lo fa fingendo che – nel frattempo – non sia successo nulla, qualche “mercatista travestito da frequentatore dei centri sociali” preferisce adottare comunicativamente vere e proprie truculenze da trucido.

Sempre con la prosopopea degli appartenenti a una corporazione che sente sotto
minaccia il proprio potere (e relativi vantaggi materiali), derivante dalla credulità di
chi attribuisce loro la conoscenza delle “leggi ferree” del futuro.

Qui si giunge al punto. Le reazioni alla provocazione critica di Francesco Sylos
Labini sono estremamente indicative degli stati d’animo vigenti; e il blog diventa un eccellente specchio dei tempi. Perché evidenzia il diffuso bisogno di annullarsi in una fede, di cieca credenza nel solito “portatore di verità” in possesso della formula salvifica che scioglie ogni dubbio nel brodino della certezza.

Al diavolo l’Eugenio Montale del «non chiederci la parola… non domandarci la formula che mondi possa aprirti». Qui siamo all’ultimo stadio della politica dei personaggi. Si tratti di politici (Silvio Berlusconi come Antonio Di Pietro, Umberto Bossi come Massimo D’Alema), comici o cantautori. Persino un economista di smodata assertività, quale il “patavin fuggiasco” Michele Boldrin, può funzionare da placebo contro il dubbio.

Nello spazio mimetico dei social forum, questo bisogno di identificazione produce una sfrenata partigianeria militante, che si scatena contro quanti hanno l’ardire di avanzare dubbi e proporre ragionamenti liberi da aprioristici giudizi di valore. Anche questo un effetto di quanto il costituzionalista francese Bernard Manin definisce “democrazia del pubblico”, dove i cittadini vengono trasformati in spettatori. E agli spettatori è riservato soltanto l’applauso o l’insulto. Non certo la libera espressione del proprio giudizio informato.

Per questo, nei blog, troppo spesso la discussione finisce per essere espulsa dal tifo da stadio. In cui si parteggia per i propri colori sociali, proprio alla maniera degli ultras; non per la bellezza di un gesto sportivo o per il ragionamento bene argomentato.
Appunto, segno di tempi in cui “la civiltà delle buone maniere” è stata gettata nel cassonetto della spazzatura. Ma “le buone maniere” non erano ipocriti formalismi, quanto il segno tangibile di un processo di civilizzazione che si fondava sul valore della discussione pubblica come ascolto curioso e confronto appassionato.

La lunga stagione dei Lumi, inghiottita nelle sguaiataggini del tubo catodico prima, poi ferita a morte dai fanatismi con il sangue agli occhi di troppi incursori nello spazio Web.
Se vogliamo che il social forum si consolidi come la dimensione in cui rinasce la democrazia dei cittadini occorrerà battersi perché l’Illuminismo delle maniere civili ne diventi la tessitura. Con relativa affermazione degli atteggiamenti critici quale primaria condizione di successo.

A partire dal culto dei “personaggi”. Allora, invece dei soliti neoliberisti/mercatisti spacciatori di ricette miracolistiche un tanto al chilo, torneremo ad ascoltare la lezione di un antico liberista antidogmatico del calibro di Luigi Einaudi: «di fronte ai problemi concreti, l’economista non può essere né liberista, né interventista, né socialista ad ogni costo […]. Se la soluzione è liberistica essa s’impone non perché liberistica, ma perché più conveniente».

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