Avvicendamento al vertice delle truppe americane, impegnate da dieci anni nel Paese. John Allen sostituisce David Petraeus, destinato a lasciare l'esercito per la Cia. Comincia anche il ritiro delle prime truppe. E crescono i dubbi sulla tenuta delle forze locali
«Ci aspettano giorni difficili e non mi faccio illusioni sulla portata delle sfide che ci aspettano». Con queste parole, pronunciate durante la cerimonia di passaggio del comando del contingente Nato in Afghanistan, a Kabul, il generale John Allen ha preso il posto di David Petraeus, richiamato a Washington per essere nominato capo della Central Intelligence Agency.
Petraeus, nominato da Barack Obama al comando in Afghanistan dopo aver condotto l’ultima fase della guerra in Iraq sotto Bush, lascerà quindi la Us Army, dopo 37 anni di servizio. «Sono profondamente grato alle truppe afgane e a quelle della coalizione internazionale – ha detto nel suo discorso di addio – E sono profondamente grato agli afgani, che hanno mostrato di saper resistere alle campagne di violenza e intimidazione».
In Afghanistan, come prima in Iraq nel 2007, Petraeus ha chiesto e ottenuto dalla Casa Bianca il famoso «surge», l’aumento temporaneo del contingente militare a sua disposizione, per combattere più efficacemente i Talebani. Il «surge» ora è finito e l’amministrazione Obama, alle prese con i problemi di bilancio, ha annunciato qualche settimana fa l’avvio delle operazioni di rimpatrio dei primi contingenti mandati come rinforzo. Tutti i 33mila soldati del «surge» dovrebbero rientrare negli Usa entro la fine del 2012, lasciando il contingente statunitense ai livelli precedenti, cioè circa 100mila soldati.
Al di là della gratitudine del generale Petraeus, però, la situazione del paese è tutt’altro che facile e i giorni evocati dal generale Allen sono già iniziati. Un’altra cerimonia, ieri, nella provincia di Bamyian, quella delle famose statue giganti del Buddha fatte esplodere dai Talebani, ha segnato l’avvio ufficiale della Transition strategy, decisa dalla Nato nel vertice di Lisbona del novembre 2010. A partire da Bamyian, l’esercito e la polizia afgani si faranno carico della sicurezza in sette aree del paese, comprese le città di Kabul ed Herat. L’Isaf si limiterà a un ruolo di appoggio, ma il dubbio che le truppe afgane siano ben lontane dall’essere in grado di svolgere questo compito è molto forte tra i comandi militari della Nato.
E c’è naturalmente la nuova ondata di «attacchi mirati» dei Talebani, che hanno messo a segno un altro colpo di rilievo, dopo l’assassinio di Ahmed Wali Karzai la scorsa settimana. Uno dei più stretti collaboratori del presidente Hamid Karzai, Jan Mohammad Khan, è stato ucciso in casa sua nella notte tra domenica e lunedì da due uomini armati che sono riusciti a superare le guardie. Assieme a lui è morto un parlamentare suo ospite, Mohammad Hashim Watanwal. Tre soldati Nato, inoltre, sono stati uccisi tra lunedì e domenica in due esplosioni nel sud del paese.
Quale sarà la strategia del nuovo comandante Nato non è ancora del tutto chiaro, tuttavia, anche il generale Allen non è nuovo gli incarichi difficili. Tra il 2007 e il 2008 era vicecomandante nella provincia irachena di Anbar, una delle più ostili alla presenza militare statunitense. Allen, in quel caso, fu uno dei fautori del cosiddetto «risveglio sunnita» (sunni awakening) ovvero il reclutamento di milizie locali sunnite da usare contro i gruppi jihadisti che allora erano tra le principali cause di preoccupazione per i comandi statunitensi. Trasportata in Afghanistan, questa «propensione» di Allen potrebbe significare, innanzi tutto, un più deciso appoggio al controverso programma che prevede di organizzare milizie locali afgane da usare contro la guerriglia. E’ una eventualità che preoccupa molto tanto gli analisti indipendenti quanto le Ong che lavorano in Afghanistan, quanto ancora le organizzazioni della società civile afgana, che da mesi cercano di spiegare perché questa idea delle milizie locali rischia di essere il volano per una nuova guerra civile, oltre che per abusi e violazioni dei diritti umani a spese della popolazione civile.
La Nato, intanto, sta cercando di rivedere l’intera strategia per l’Afghanistan. In un incontro a Bruxelles con alcune agenzie umanitarie, il rappresentante della Nato ha detto che entro settembre, l’Alleanza e il governo afgano dovrebbero individuare le prossime aree da avviare alla Transizione. Inoltre, a ottobre, a cavallo del decimo anniversario dell’inizio della guerra in Afghanistan, la Nato dovrebbe presentare un nuovo piano strategico per il paese asiatico, necessario per valutare la strategia politica e militare sia nel breve periodo (2012-2014) che nel lungo periodo (oltre il 2014), sia il nuovo ruolo dell’Alleanza in questo contesto, secondo quanto uscirà anche dal vertice internazionale di Bonn, il 5 dicembre prossimo, dove si discuterà maggiormente degli aspetti economici e politici dell’infinita tragedia afgana.
di Joseph Zarlingo