Il gip del tribunale di Castrovillari ha accolto la richiesta di apertura delle nuove indagini sul caso Bergamini. Un’attesa durata 22 anni. Anni in cui non si sono mai arresi alla versione ufficiale che voleva Donato, “Denis” per tutti, suicidatosi per amore. Ora famiglia Bergamini può esultare perché la caparbietà di papà Domizio e della sorella di Denis, Donata, è stata premiata.

La procura di Castrovillari ha riaperto l’inchiesta sulla misteriosa morte di Denis, calciatore ferrarese, nato a Boccaleone di Argenta e scomparso sotto un camion a 27 anni il 18 novembre 1989 sulla statale jonica, nei pressi di Roseto Capo Spulico in provincia di Cosenza. Sul tavolo del procuratore capo Franco Giacomantonio è tornato il fascicolo riaperto con l’ipotesi di omicidio volontario contro ignoti.

Da oggi ricominceranno quindi le indagini interrotte allora. “È una soddisfazione enorme”, gioisce l’avvocato Eugenio Gallerani del foro di Ferrara. A lui la famiglia ha dato l’incarico di riesumare la verità. E Gallerani ha dato un impulso notevole alla riapertura del caso. Grazie a due anni di indagini che hanno prodotto oltre 200 pagine di documenti con 60 allegati e un centinaio di fotografie corredate da consulenze tecniche.

Per capovolgere la verità scritta anni addietro e che vide concludersi nel 1992 la vicenda giudiziaria con l’assoluzione del camionista accusato di omicidio colposo. Secondo la famiglia Bergamini Denis non si uccise, ma sarebbe stato ucciso da qualcuno e solo successivamente portato sulla statale jonica.

Le prime indagini infatti secondo i Bergamini tralasciarono molti particolari. Forse troppi. Tutte “lacune” che vennero catalogate in un blog (http://www.denisbergamini.com/), aperto dal padre sul web. Un grido di dolore che cercava ascolto. Le prime orecchie che carpirono il messaggio furono quelle dei tifosi del Cosenza. I supporter rossoblu hanno sempre seguito la vicenda negli ultimi anni e l’anno scorso si resero protagonisti di una “marcia contro l’omertà” conclusa all’interno dello stadio dove giocava il calciatore ferrarese, in onore del quale è stata eretta una piccola scultura.

L’appello da internet finì anche nelle aule del parlamento, grazie al deputato ferrarese del Pd Alessandro Bratti che presentò una interpellanza alla Camera per cercare di chiarire le tante incongruenze.

A cominciare dal fatto che “l’auto di Denis si trovava dietro al camion anziché sulla piazzola”, ricorda il padre. Quella sera pioveva ma le scarpe del ragazzo non riportavano la melma presente per terra. Dall’autopsia, poi, “non risulta trascinamento” del corpo e “le distanze non coincidono”.

Il corpo di Denis non presentava “nessuna ferita o ematomi in alcuna parte del corpo e neppure nessuna frattura ossea”, nonostante “il camionista ha dichiarato di aver fatto retromarcia per vedere se era ancora vivo, quindi l’avrebbe così sormontato due volte”.

In base alle testimonianze, inoltre, la parte lesionata del bacino dovrebbe essere sul lato sinistro, non destro. Altro particolare non secondario: l’orologio che il ragazzo aveva al polso al momento della disgrazia “funzionava ancora e il vetro non presentava graffi”, nonostante il corpo fosse stato trascinato da un camion sull’asfalto per 60 metri.

All’obitorio l’infermiere dirà che il corpo, così come i vestiti, era distrutto. Cosa contraddetta dalle foto. Dall’autopsia risulterà anzi intatto con un’unica ferita sulla parte destra del bacino.

Tutte domande alle quali l’avvocato Gallerani chiede ora una risposta, seppur tardiva, perché, dice, “Denis se lo meritava”.

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