Continuano a non fare notizia le 625mila persone che in Italia sono vittima d’usura e non denunciano i propri strozzini perché, a farlo, non avrebbero alcun vantaggio. Ma solo rischi. Sono pensionati, professionisti strozzati dalla crisi, casalinghe, dipendenti e disoccupati. Una persona su cento si trova in questa situazione. Ma per lo Stato non esiste. Per questo il presidente dell’associazione “Sos Racket e usura” da 27 giorni ha iniziato lo sciopero della fame e dei farmaci contro l’ipertensione. Da quattro ha iniziato anche lo sciopero della sete. Insieme alla chiusura della sua ventennale associazione Sos Racket e Usura, Frediano Manzi ha deciso di iniziare questa forma estrema di protesta “per rompere l’assordante silenzio delle istituzioni che per muoversi hanno bisogno che ci scappi il morto e io mi sto attrezzando”, racconta Manzi al ilfattoquotidiano.it con la voce flebile di chi ha perso 14 chili in un mese.

La sua richiesta è che il Parlamento metta mano all’unica legge che regola la materia, la 108 del 1996. La legge è stata approvata in fretta e furia sull’onda emotiva di cinque suicidi per usura. E’ coraggiosa nell’ammettere l’uso di intercettazioni ambientali nelle indagini (prima proibite) ed elimina quella penosa procedura che imponeva alle vittime di dimostrare il loro stato di bisogno. Ma la legge dimostra anche tutti i suoi limiti derivanti dall’essere figlia dell’emergenza. Manzi chiede di intervenire su tre punti e si dice pronto ad andare fino in fondo sfidando apertamente, con il suo deperimento quotidiano, il sistematico silenzio della politica.

Il primo problema riguarda l’accesso al fondo per le vittime d’usura che esclude sistematicamente tutte quelle vittime che non figurano come impresa o partita Iva. Resta fuori una galassia intera di persone: casalinghe, pensionati, dipendenti pubblici, dipendenti di aziende private. La ratio di questa scelta è legata all’esiguità del fondo che nel 1996 nasceva con una dote di 300 milioni di vecchie lire. Una coperta troppo corta per garantire fondi a tutte le vittime. Così si fece una scelta di tipo “bancario” già che di prestito si tratta e non di contributi a fondo perduto. La vittima che denuncia, infatti, riceve il 50% del danno subito una volta che il Pm ha rilasciato alla Prefettura una specifica dichiarazione. Così si fece la scelta di puntare su coloro che offrivano maggiori garanzie di restituzione degli importi ricevuti: gente che ha reddito, capacità di impresa, posizione contributiva e fiscale attiva. In altre parole tra una vittima allo sbando totale e una messa meglio lo Stato difende la seconda e non la prima. Garantisce il garantito.

Per Manzi l’incongruenza si mantiene nel tempo perché “aprire il fondo antiusura a chi non è in possesso di partita Iva rischia di prosciugarne le risorse in un attimo”. Parole che lo stesso presidente onorario delle Federazioni antiracket italiane (Fai) Tano Grasso avrebbe riferito al parlamentare del PD Emanuele Fiano che sul problema ha presentato un’interrogazione parlamentare e ha tentato di far inserire nel cosiddetto “mille proroghe” le modifiche sui requisiti d’accesso.

Il secondo problema è che anche quei pochi imprenditori che accedono al fondo finiscono per essere strozzati una seconda volta, stavolta per mano dello Stato. Perché da una parte si incentiva a parole la denuncia, dall’altra la si disincentiva con i fatti erogando i pochi contributi con un ritardo da 3 a 5 anni. Per questo Manzi chiede che le vittime che hanno diritto a fondi li ottengano non oltre un anno dalla data delle presentazione della denuncia. “Per non morire di fame nel frattempo”, scrive Manzi nel suo ultimo post, facendo casi concreti con nomi e cognomi. “Quello di Francesco Ottalevi, Imprenditore di Anzio che oltre 4 anni fa con le sue denuncie ha fatto arrestare 43 persone e oggi vive nascosto in un altra regione con tutta la sua famiglia ed i suoi figli che muoiono di fame, in attesa dei fondi già riconosciuti che i molti burocrati del monopolistico Comitato Nazionale Antiracket non ha erogato”. O ancora Bernardo Raimondo, di Palermo che “ha fatto arrestare 7 anni fa usurai ed estorsori in attesa dei fondi ora è costretto da due anni a chiedere l’elemosina fuori dalle chiese nella sua Città Palermo”, denuncia ancora Manzi.

Pesa su ogni tentativo di riscatto dal racket per via istituzionale la vicenda di Carlo Ferrigno per la quale il presidente di Sos Racket e Usura chiede da tempo una Commissione Parlamentare di Inchiesta. La vicenda è nota. Ferrigno è stato a capo del Comitato Nazionale Antiracket dal 2003 al 2006. Nominato dal Governo Berlusconi e recentemente arrestato dalla Procura della Repubblica di Milano in seguito a una denuncia proprio di Frediano Manzi. Ferrigno è accusato di aver chiesto a molte vittime che si rivolgevano al Comitato prestazioni sessuali per accedere al fondo. Tra le vittime degli strozzini rimaste vittime del loro stesso salvatore, figura anche una minorenne. Ai primi di luglio il gip Andrea Ghinetti ha rigettato il secondo tentativo di patteggiamento di Ferrigno a 2 anni e 8 mesi perché ritenuto “non congruo alla gravità dei comportamenti messi in atto”. “Vogliamo sapere – dice Manzi – come siano stati gestiti e desinati le decine di milioni di euro da lui erogati in questi anni”.

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