La vera minaccia, per l’impero di Rupert Murdoch, non si trova a Londra. Il rischio più grande viene dagli Stati Uniti, dove News Corporation ha il proprio quartier generale, gran parte dei propri interessi e il mercato più vasto. Il passaggio dello scandalo, da Londra a Washington, potrebbe mettere davvero in pericolo l’esistenza del gruppo; come ventilato in una dichiarazione della senatrice democratica Barbara Boxer, che parla ormai apertamente del ritiro della licenza di Murdoch per operare nel mondo dei media americani. Un disastro, appunto, e la probabile fine dell’impero.
I legami di News Corporation con gli Stati Uniti sono profondi. Il gruppo è americano, registrato in Delaware. La sua sede sta al 1211 dell’Avenue of the Americas, nel complesso del Rockefeller Center. Gli Stati Uniti sono il mercato più importante e redditizio di News Corp, che qui possiede studi e canali televisivi, la 20th Century Fox, Fox Broadcasting Company, il network più visto negli Stati Uniti e “braccio armato” del partito repubblicano, oltre a diversi media locali e a Dow Jones, che controlla il Wall Street Journal.
Un vero impero, che rende News Corp. il secondo gruppo di media al mondo dopo la Walt Disney, e che ora viene messo in discussione da due diverse inchieste. Da un lato c’è infatti l’indagine principale, avviata dall’FBI di Robert Mueller, che cerca prove sulle intercettazioni dei telefoni delle vittime dell’11 settembre e sulla corruzione di funzionari di polizia per accedere ai dati privati delle stesse vittime. Tutto messo in atto dal tabloid News of the World, chiuso da Murdoch dopo lo scoppio dello scandalo inglese.
C’è di più. Murdoch, che vive a New York dal 1974 e che dal 1984 è cittadino statunitense (la legge americana impone che solo un cittadino USA possa essere proprietario di stazioni televisive del Paese) potrebbe finire sotto inchiesta attraverso il “Foreign Corrupt Practices Act”, la legge che punisce gli atti di corruzione commessi all’estero (in questo caso, la corruzione e le intercettazioni messe in atto in Gran Bretagna). Murdoch potrebbe evitare il giudizio grazie al pagamento di una somma consistente al governo federale, che farebbe cadere ogni accusa (come avvenuto nel passato con la Siemens, che pagò 800 milioni di dollari per evitare l’apertura di un’indagine per corruzione a suo carico, con conseguente chiusura dei suoi contratti con il Pentagono).
La sordina giudiziaria, attraverso un fiume di dollari pagati al governo americano, non sembra però in grado di salvare il magnate australiano dagli attacchi politici, sempre più numerosi a Washington. E’ stato Peter King, un repubblicano di New York a capo della Commissione sulla Sicurezza Nazionale della Camera, a chiedere l’apertura di un’inchiesta dell’FBI sulle intercettazioni a danno delle vittime dell’11 settembre. Diversi congressmen, democratici e repubblicani, hanno auspicato l’intervento della SEC, l’organo di controllo dei mercati USA, per valutare le accuse di corruzione nei confronti di News Corp. E l’influente senatrice democratica Barbara Boxer ha ventilato ciò che fino a qualche tempo fa pareva impossibile: e cioè il ritiro della licenza che consente a Murdoch di possedere canali televisivi negli Stati Uniti.
Uno degli uomini un tempo più influenti del pianeta lotta ora per la sopravvivenza, e lo fa proprio negli Stati Uniti. A poco, a questo punto, sembrano valere anni di relazioni privilegiate tra Murdoch e il partito repubblicano. Il tycoon è stato recentemente uno tra i più generosi finanziatori del partito (un milione di dollari in contanti è uscito dalle casse di News Corp, diretto all’Associazione dei Governatori repubblicani). E dagli schermi di Fox News, diretta dal guru della comunicazione repubblicana Robert Ailes, sono partiti i missili più devastanti contro la politica – sulla sanità, l’ambiente, l’economia – del “socialista e marxista” Barack Obama.