Buon compleanno Madiba! Oggi il mondo celebra il 93esimo compleanno di Nelson Mandela, l’uomo che ha dedicato la sua vita al servizio dell’umanità come attivista per i diritti umani, prigioniero di coscienza e presidente nelle prime elezioni democratiche del Sud Africa.

Nato a Mvezo da una famiglia appartenente al ramo cadetto dei reali del clan sudafricano di Thembu, suo padre era il capo della città prima di venire privato del suo ruolo dalle potenze coloniali, l’Olanda e la Gran Bretagna, presenti nel paese dalla metà del 1600. Sin dagli inizi del 1900 il sistema politico legalizza la segregazione razziale, dividendo la popolazione in tre razze con diversi diritti: la bianca, la “meticcia”, composta da asiatici e mulatti, e la nera. Nel 1948 il National Party, il partito che vince le elezioni e rimane al governo, ormai indipendente dalla Gran Bretagna, fino al 1984, adotta come programma l’adozione della repubblica, l’apartheid e la promozione della cultura degli Afrikaaner, cioé dei bianchi discendenti dagli olandesi che, sebbene numericamente inferiori, detengono il potere negando a tutte le altre razze ed etnie libertà politica ed economica. Ed è nel 1948 che l’avvocato Mandela, unico della sua famiglia ad aver studiato, comincia a partecipare attivamente alla vita politica.

Inizialmente è influenzato dal satyagraha, il metodo di lotta non violenta ideato da Gandhi quando nel 1893-1914 era un giovane avvocato che si batteva per i diritti civili in Sud Africa. Nel 1956 Mandela viene arrestato e accusato di tradimento. Da allora il suo metodo di lotta cambia. Nel 1961 diventa cofondatore e leader del “Umkhonto we Sizwe”, conosciuto come MK, il braccio armato dell’African National Congress. L’MK Inizia le sue prime azioni di guerriglia nel 1961, viene classificato come organizzazione terrorista e proibito. In un famoso discorso intitolato “Sono pronto a morire”, Mandela spiega perché “come conseguenza della politica del governo, la violenza dei popoli africani è diventata indispensabile” e perché hanno deciso di rispondere “violenza alla violenza”. Nel manifesto dell’MK del 16 dicembre 1961 “Noi siamo in guerra!” spiega che stanno combattendo per la democrazia e il diritto degli africani di governare l’Africa. “Stiamo combattendo per un Sud Africa in cui ci sia pace, armonia e uguali diritti per tutti. Non facciamo distinzioni razziali, come fanno i bianchi oppressori. L’African National Congress ha un messaggio di libertà per tutti quelli che vivono nel nostro paese”. Mandela inizia una campagna di attacchi per mezzo di bombe contro i luoghi simbolo dell’apartheid. La sua conoscenza di tecniche di battaglia e di strategia militare sono fondamentali.

Mandela trascorre in prigione 27anni, di cui 18 nell’isola di Robben Island, a pochi chilometri dalla costa di fronte a Cape Town, dove dal 1997 è stato istituito un museo e che l’Unesco nel 1999 ha dichiarato “patrimonio dell’umanità”. La reputazione e il rispetto internazionale di Mandela crescono. Quando il presidente afrikaaner P. W. Botha gli offre la libertà a patto di rinunciare incondizionatamente all’uso della violenza come mezzo politico, lui rifiuta e diventa prigioniero di coscienza. Il presidente F. W. de Klerk nel 1990 lo rimette in libertà libera Mandela e toglie il veto all’African National Congress. Mandela però non smantella l’Umkhonto we Sizwe e non rinuncia alla lotta armata fino a che non viene garantito il diritto di voto ai neri. Nel 1993 a lui e al presidente de Klerk viene conferito il Premio Nobel per la Pace. Le prime elezioni multirazziali del Sud Africa dell’aprile 1994 fanno guadagnare all’African National Congress il 62% dei voti e Mandela viene eletto presidente.

Agli inizi degli anni Novanta Mandela cerca di risolvere la disputa fra la Libia di Gheddafi e gli Stati Uniti insieme alla Gran Bretagna. Due libici sono stati accusati di sabotare l’aereo della Pan Am che nel dicembre 1988 si è schiantato nella città scozzese di Lockerbie. Per Mandela, Gheddafi è un africano che ha pulito il continente dall’umiliazione dell’apartheid e si considera suo amico. Propone a George Bush di tenere il processo contro i libici in Sud Africa ma la Gran Bretagna rifiuta. Il processo si tiene a Camp Zeist, nei Paesi Bassi ma sotto la giurisdizione scozzese. In un discorso a Tripoli del 1990 Mandela afferma che “nessun paese può rivendicare di essere il poliziotto del mondo e nessuno stato può dettare a un altro cosa deve fare. Quelli che ieri erano amici dei nostri nemici oggi hanno l’impudenza di dirmi di non fare visita al mio fratello Gheddafi. Mi suggeriscono di essere ingrato e di dimenticarmi del passato”.

Nel 1999 il famoso discorso del 13 giugno a Cape Town, durante una colazione in onore del “leader della rivoluzione libica Jamahiriya”, Mandela ribadisce la sua amicizia con Gheddafi e i rapporti politici ed economici fra Sud Africa e Libia. Fino al 2 luglio 2008, quando il Congresso statunitense approva una legge che rimuove il nome di Mandela dalla lista nera, il novantenne leader non può entrare negli Stati Uniti senza un permesso speciale del Segretario di stato, eccetto che per andare negli uffici centrali delle Nazioni Unite. Ma sin dal primo arresto del 1962 e per tutti gli anni Ottanta la CIA dice al governo del Sud Africa dove si trova Mandela.

La risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU del 1° dicembre 2009 dichiara il 18 luglio “Mandela International Day” in riconoscimento del suo contributo alla cultura della pace e della libertà. Oggi l’Onu propone di dedicare agli altri 67 minuti del nostro tempo, come 67 sono stati gli anni di lotta di Mandela. Facendo amicizia con qualcuno di una cultura diversa, oppure leggendo qualcosa a chi non può vedere, parlando con un malato terminale o anche offrendo aiuto a un canile comunale. Con l’istituzione del Mandela International Day il leader sudafricano è diventato un’icona non solo per l’Africa, ma per tutto il pianeta: un simbolo per tutti i discriminati, gli emarginati e gli esseri in stato di bisogno, umani e non.

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