L’amministratore delegato di Alitalia si è dimesso oggi denunciando “la mancanza di fiducia da parte del governo”. Una decisione anticipata dieci giorni fa dal nostro giornale e figlia del contestato provvedimento di legge che avrebbe costretto lo stesso Fantozzi a convivere con due commissari extra di nomina governativa. Ora le prospettive di risarcimento passano esclusivamente da una class action condotta dal basso
“Un’azione di responsabilità promossa dai nuovi amministratori? Non credo proprio, anche se ci spererei, ma in ogni caso se non ci penseranno le istituzioni è ovvio che l’iniziativa dovrà partire dal basso”. Il presidente dell’Anelta (Associazione Nazionale Ex Lavoratori del Trasporto Aereo) Mario Canale non si fa troppe illusioni. E visti gli ultimi sviluppi non potrebbe essere altrimenti. Il Governo allunga nuovamente le mani su Alitalia, allontanando, insieme al dimissionario Augusto Fantozzi, le prospettive di una maxi operazione di risarcimento in favore dei dipendenti. Resta in piedi la class action (Leggi il comunicato stampa), ovviamente, ma certo l’uscita di scena della voce più critica (e più potente) in seno alla martoriata compagnia di bandiera rende tutto più difficile. Per la soddisfazione di chi, a Palazzo Chigi, aveva probabilmente già previsto tutto introducendo, tra le pieghe di una legge finanziaria, una norma tanto criptica quanto potenzialmente dirompente.
La notizia era nell’aria da quasi due settimane. Dieci giorni fa il Fatto Quotidiano l’aveva anticipata in esclusiva sulle base delle rivelazioni di fonti bene informate. L’amministratore straordinario di Alitalia Augusto Fantozzi, avevano assicurato queste ultime, aveva accolto malissimo la decisione del governo di affiancargli non uno ma ben due commissari extra incaricati di gestire congiuntamente il futuro della compagnia. Una decisione tradottasi nel contestato comma 5 dell’articolo 15 dell’ultima legge di stabilizzazione finanziaria che prevede, per le imprese in amministrazione straordinaria, un’integrazione di “due ulteriori commissari da nominarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro dello sviluppo economico”. Decisamente troppo per il pur paziente Fantozzi che oggi ha rotto definitivamente gli indugi presentando le proprie dimissioni di fronte all’improvvisa “mancanza di fiducia da parte del governo”. Tutto chiaro? A bene vedere parrebbe proprio di sì, soprattutto alla luce delle indiscrezioni emerse nelle scorse settimane.
All’epoca, come avemmo modo di scrivere, le stesse fonti di cui sopra spiegarono più precisamente l’origine della querelle. Fantozzi, dissero, aveva finalmente maturato l’intenzione a lungo “congelata” di portare in tribunale Giancarlo Cimoli e gli altri ex amministratori della compagnia con l’obiettivo di ottenere un risarcimento per la cattiva gestione che egli stesso aveva denunciato in passato quando, in una relazione ufficiale, aveva inteso inchiodare gli ex dirigenti alle loro responsabilità. “Nella mia relazione sulle cause dell’insolvenza dico chiaramente che l’azienda ha sperperato – dichiarò l’amministratore straordinario più di due anni fa. Non è un mistero che ci siano cinque procuratori della Repubblica al lavoro nei nostri uffici e la Corte dei conti che indaga”. Fantozzi non ha mai parlato apertamente di causa civile ma ora le indiscrezioni in tal senso raccolte dieci giorni fa sembrano acquisire maggiore concretezza. E non serve un grande sforzo di immaginazione per capire che in presenza di due commissari extra scelti direttamente da Paolo Romani (e quindi da Silvio Berlusconi), una simile iniziativa sarebbe stata di fatto impossibile.
Alitalia, lo ricordiamo, è entrata di fatto in coma quattro anni fa quando l’accumulo delle passività aveva superato i livelli di guardia. La salvezza, allora, la offrì Air France mettendo sul piatto 1.700 milioni di euro per l’acquisizione degli assets e dei debiti della compagnia italiana. Un’offerta decisamente ghiotta, particolarmente generosa e sostanzialmente irrinunciabile. Che infatti fu rifiutata. Il seguito è noto. Prima l’illusione della cordata nazionale (finita con il rinvio a giudizio del suo principale sponsor, l’ex presidente della Corte Costituzionale Antonio Baldassarre, con un accusa di aggiotaggio) poi il definitivo ingresso dei francesi nell’azienda con l’acquisizione di un quarto delle quote al netto dei debiti (scaricati in una bad company tenuta in vita con i soldi pubblici) per appena 300 milioni, cifra che implicava una valutazione complessiva della compagnia pari ad appena 1,2 miliardi. Ovvero 500 milioni in meno rispetto alla prima offerta.
A distanza di qualche anno la soddisfazione dei protagonisti non è difficile da immaginare. Air France ha ottenuto un forte sconto portandosi a casa un quarto di compagnia “sana” mentre Cimoli ha potuto chiudere il suo rapporto di lavoro con una liquidazione da 5 milioni di euro. Molti ex dipendenti, in compenso, si sono trovati senza lavoro. Qualcuno, spiega Mario Canale, aspetta ancora adesso che gli sia liquidato il Tfr. I più fortunati, si fa per dire, si sono ritrovati in cassa integrazione con la concreta prospettiva di restarci per anni. Gli stessi, probabilmente, che passeranno prima che si concluda la causa intentata da Anelta contro il governo italiano. Un’iniziativa della quale i suoi promotori, spiega Canale, si dicono oggi ancora più convinti. “A maggior ragione dopo le dimissioni di Fantozzi”.