La guerra in Libia ha scaldato poco gli intellettuali italiani soprattutto a sinistra e più l’intervento Nato si faceva sanguinoso più si sentiva il loro silenzio. Una tesi condivisa sia dai “barricaderi” Dario Fo e Marco Revelli che dai “conservatori” Marcello Veneziani e Franco Cardini. “Ma come si fa a intervenire a piedi giunti in un argomento del genere – si chiede il Nobel – giocato su interessi sporchi e ipocrisie? Sembra una farsa grottesca dell’800!
Berlusconi si riempie di orgoglio per avere concluso un accordo che ferma i poveretti in fuga e li rimanda a crepare nel deserto. E la visita a Roma: le amazzoni guardie del corpo con l’aria da guerriere Circasse, la tenda, il baciamano a un criminale che ha invitato i suoi sbirri a violentare le donne degli insorti. La brutalità di questo satrapo si conosceva da tempo, solo Berlusconi fingeva ignoranza per non pagare dazio”.
“La visita di Gheddafi è stata una brutta pagina – dice Veneziani – l’ho sempre scritto, ma dietro c’erano aspetti rilevanti come l’immigrazione e il petrolio. Inoltre il primo ad accordarsi con Gheddafi, ricordo, fu Prodi”. Per Veneziani, che fin da subito ha espresso dubbi sull’intervento, gli intellettuali italiani non si sono fatti sentire perché si va indebolendo il loro ruolo e la situazione è confusa. Certo, dice, se Berlusconi si fosse subito messo a ruota di Sarkozy e magari al posto di Obama ci fosse stato Bush si sarebbero espressi contro la missione Nato.
Lo storico Revelli la pensa come Fo: come si può parlare dopo che la farsa è diventa tragedia, dopo il Bunga Bunga ispirato al Rais, gli interessi sporchi? “Comunque ti esprimi esponi il fianco, però è vero, c’è troppo silenzio, non si è sentito, per esempio, un Magris. Pesa la pigrizia mentale, la mancata riflessione sul fallimento degli interventi negli ultimi anni in Somalia, nei Balcani”. Ma nei Balcani, la Nato non ha fermato la guerra? “Credo che abbia solo congelato il conflitto, i serbatoi di odio nazionalista sono ancora intatti”. Nel caso della Libia, per Revelli, la situazione è sfuggita di mano: “Si è arrivati a uno scenario da guerra civile con costi umani immensi. Il mix di bombe e blocco navale per impedire l’esodo è l’immagine del fallimento dell’Europa”.
“Gli intellettuali italiani stanno zitti perché sono dei vigliacchi – spiega il medievista Cardini -, lo dico senza animosità, una deformazione professionale che deriva dall’esposizione ai vapori dell’inchiostro. Si mobilitano per temi che danno visibilità, solo quando sono sicuri su come convenga schierarsi. L’intellettuale italiano è un San Giorgio che uccide un drago quando è già morto”.
I francesi sono più reattivi e coraggiosi, per Cardini, non aspettano l’invito di Mentana o Lerner. Per Revelli, è vero, i vari Lévy e Todorov, pur su posizioni opposte, si sono accesi sulla Libia, ma applicando vecchi schemi stile post-Muro, continuando a fare le stesse discussioni, mentre il Vecchio Continente “non riesce neanche a risolvere una crisi periferica come quella greca” e “la primavera araba andrebbe letta nel tentativo di dare risposte diverse dal solito binomio democrazia e mercato”.
Cardini apprezza il ruolo defilato di Berlusconi nella prima fase e si chiede come possa Napolitano – della cui amicizia si onora – dimenticare il trattato di non aggressione con Libia. Fo trova vergognosa la manfrina dell’indecisione iniziale (“offriamo la disponibilità delle basi aeree e dei porti”) e il ripensamento: “Chi primo arriva si prende tutto! Questa volta i primi sono stati i francesi, seguiti a ruota dagli americani, per noi non è rimasta nemmeno una scamorza secca! E allora ci mettiamo anche noi a bombardare. La Lega pesta un po’ i piedi, Bossi fa la sua scenata, ma si continua a bombardare”. Tutti fanno proprie le domande sospese nei cieli libici: perché intervenire qui e non in Siria? Perché non si è tentato un cessate il fuoco con uscita di scena di Gheddafi? Perché il milieu dei nostri pensatori non si scalda troppo per quelli che Mussolini definiva “musulmani italiani”?