Poche parole, ma soprattutto pochi fatti. Salvo sussulti dell’ultima ora, la Romagna resterà a bocca asciutta di consiglieri nei luoghi di comando che contano, ovvero il Cda dell’Ateneo.
In compenso, guadagna dal Magnifico un bel politichese: “Il Rettore Dionigi ha recepito le istanze dei territori romagnoli dichiarandosi favorevole a continuare l’impegno congiunto, attraverso un forte accordo di programma pluriennale, volto a sviluppare la qualità del Multicampus”.
Resta ancora al palo la trattativa tra i sindaci romagnoli e il rettore dell’Alma Mater Ivano Dionigi sulla riorganizzazione dei dipartimenti decentrati e sulla rappresentanza degli enti locali a seguito del dibattito sul nuovo statuto dell’Università. Dopo che gli enti di sostegno dell’Università in Romagna (Serinar, Fondazione Flaminia e UniRimini) hanno protestato formalmente per la mancanza in prospettiva di propri rappresentanti nei Consigli di amministrazione che contano, il Magnifico Ivano Dionigi ha convocato nella sala Giunta del rettorato tutti i sindaci e rappresentanti degli enti locali coinvolti.
Ravenna, Forlì, Cesena e Rimini, anche grazie agli emendamenti presentati nella seduta di Consiglio di venerdì scorso da Piero Gallina e Massimo Ricci Maccarini, attuali rappresentanti romagnoli nel Cda dell’Ateneo, possono sperare di essere presenti nei Consigli di Campus, quelli che prenderanno il posto degli attuali Consigli di polo, e nel Coordinamento dei Consigli stessi. Ma, a quanto pare, le concessioni finiscono qui. Le poltrone nel nuovo Cda (che verrà ridotto da 27 a 11 membri) sono già tutte occupate.
Dionigi concede solo il “programma pluriennale” sul Multicampus, e di questo nessuno si è sorpreso. Il voto finale sullo statuto (prima in Cda poi in senato accademico) è previsto tra il 26 e il 27 luglio: l’iter deve concludersi entro il 29, come prevede la legge Gelmini, pena il commissariamento dell’Ateneo.
Comunque sia, anche oltre il Sillaro la bufera in questi giorni è soffiata forte su Dionigi. Non bastasse il braccio di ferro con i dipendenti universitari di Bologna, che dopo la presentazione della seconda bozza del documento hanno lanciato un ultimatum bello e buono (“Il rettore organizzi una consultazione via web o ci pensiamo noi”, è stato l’aut-aut dei rappresentanti dell’intersindacale), che è arrivata la nuova grana Romagna.
Dopo mesi di malumori la bocciatura ufficiale è stata unanime: “La totale assenza di ogni forma di rappresentanza per le istituzioni e gli enti di sostegno della Romagna negli organi di governo dell’Ateneo (Cda e Consigli di Campus) costituisce un grave arretramento rispetto alla situazione attuale, che pure è insoddisfacente”, hanno attaccato in una nota congiunta i tre enti di sostegno romagnoli dell’Università di Bologna, Serinar (Forlì-Cesena), Fondazione Flaminia (Ravenna) e Uni.Rimini Spa, “Con delusione si riscontra che molte proposte di integrazione allo statuto, presentate con spirito costruttivo e finalizzate a conferire effettiva sostanza alla struttura MultiCampus dell’Ateneo di Bologna, non sono state recepite”.
Dunque, per Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini il nodo principale resta quello del riconoscimento dell’autonomia: Serinar, Fondazione Flaminia e Uni.Rimini sostengono che quella alla base del nuovo modello di rappresentanza è “una carenza che rischia di indebolire la proficua sinergia avviata in questi anni tra Ateneo e sistema territoriale romagnolo”. L’augurio dei tre enti di sostegno, a questo punto, è che almeno nei prossimi passaggi in Cda e in commissione Statuto “possano essere recepite le istanze già espresse”.
A rincarare la dose ha pensato direttamente un pezzo grosso della Romagna, il presidente della Provincia di Rimini, Stefano Vitali, che immagina già strascichi se l’attuale testo dello statuto dovesse passare: “La scelta di lasciare gli enti di sostegno e le istituzioni romagnole fuori dai tavoli decisionali dell’Università di Bologna non può che essere accolta con perplessità e preoccupazione. Una decisione che, se non verrà modificata, non potrà non avere ripercussioni sull’autonomia del Polo romagnolo e sui rapporti tra le sedi decentrate e Bologna”.
Ha fatto eco il sindaco di Rimini, Andrea Gnassi, che ha incalzato Bologna allargando il raggio: “Radicare dipartimenti coerenti con ciò che si è sviluppato vuol dire investire per la crescita di Rimini e dotare l’Emilia Romagna di eccellenze e unicità universitarie, che altrimenti in altre sedi non avrebbero la solidità che oggi hanno. Ecco perché chiediamo con forza a Bologna, Università e Regione, di riconoscere ciò che è nato e cresciuto nel polo universitario riminese. Agire diversamente sarebbe penalizzante per Rimini. Ma anche, trattandosi di eccellenze uniche in Italia, sarebbe penalizzante per l’intero tessuto regionale. Il ruolo di Bologna, ‘capitale’ dell’Emilia Romagna, infine, si gioca nella misura in cui le scelte e le funzioni che Bologna intende esercitare sono utili per tutta la Regione e sono rispettose delle vocazioni dei territori”.