Ogni volta che la Fiat viene contraddetta o dal voto con eccessivo dissenso, secondo lei, di Pomigliano e di Mirafiori, o da un sindacato rappresentativo come la Fiom-Cgil, o dai rari commentatori economici (si legga Mucchetti e pochi altri che pongono dubbi e chiedono chiarimenti sul piano fabbrica Italia), o dai rari i dissensi dei politici, o ancora dalla sentenza di un tribunale, reagisce minacciando di non realizzare o di bloccare gli investimenti per il nostro Paese, magari, come questa volta, non dicendolo direttamente ma facendo trapelare indiscrezioni attraverso giornali e giornalisti “vicini” o ancor meglio attraverso il sindacato aziendale Fismic assente nelle assemblee con i lavoratori e le lavoratrici ma presente nei comunicati stampa e nelle indiscrezioni aziendali.
Io non credo che dobbiamo considerare normale questo comportamento da parte di un’impresa privata, anche se si chiama Fiat, anche se questa si sta internazionalizzando. Intanto perché non conosciamo i dettagli degli investimenti per l’Italia, propagandati oramai due anni fa, addirittura con una campagna pubblicitaria. Su 20 miliardi di euro ne conosciamo 2,2; 700 milioni per la nuova Panda a Pomigliano, 1 miliardo a Mirafiori per una jeep e un Suv Alfa e 500 milioni per una piccola Maserati alla ex Bertone.
E poi perché oggi ci dicono che 25 manager dirigeranno le piattaforme sia dei prodotti Fiat che di quelli Chrysler sui cinque mercati regionali anticipando di fatto la fusione tra Fiat e Chrysler che seguirà a breve. E infine, perché tutte queste scelte e queste reticenze della ex azienda nazionale ci portano alla gestione di un allontanamento dal Paese, a diventare uno dei mercati regionali: io credo poco all’autonomia dei cinque mercati con cinque direzioni policentriche. Credo poco a un’impresa che probabilmente prepara, con la fusione e il rientro nella borsa americana della nuova società, anche altri assetti proprietari: da tempo gli azionisti di controllo di Fiat Auto ritengono auspicabile una loro diluizione in un nuovo azionariato.
E allora perché si tengono in “ostaggio” le lavoratrici e i lavoratori dell’autoveicolo illudendo il Paese che basti prendere atto di una presunta “verità” di mercato? Intervenendo sulle pause in modo da aumentare la fatica e ridurre le agibilità sindacali dei lavoratori per la governabilità delle fabbriche, che non sono nel frattempo diventate delle palestre di democrazia o dei moderni soviet?
Bisognerebbe liberare gli “ostaggi” pretendendo trasparenza e impegni per l’Italia, e questo, con una multinazionale in ritirata dal Paese, può farlo solo la politica, i governi, che devono però avere un’idea propria nell’interesse del Paese, dello sviluppo e dei prodotti, in questo caso la mobilità e gli autoveicoli… Ma questa politica non c’e! O non c’e ancora, visto che questo governo fa altro e di peggio. Meno male che ci sono ancora le sentenze come quella del tribunale di Torino che, garantendo rappresentanza a tutte le opinioni dei lavoratori, consentono almeno di guadagnare tempo, e questa è una risorsa. Infine, fino a prova contraria, la Fiat è stata condannata per attività antisindacale ed è chi è condannato che sbaglia e perde in un’aula di tribunale.