I funzionari del Partito comunista cinese sono una casta sui generis. Sono figli del cielo e come tali sottoposti a privilegi, lussi e tante possibilità, dai viaggi all’estero, alle auto costose, fino al minuzioso controllo su tutto quanto mangiano. L’altro lato della medaglia è la potenziale caduta. Quando accade è rapida, spesso dolorosa e quasi sempre letale. Nel discorso di celebrazione dei 90 anni del Partito comunista del primo luglio, il presidente Hu Jintao non le aveva mandate a dire: “Ci sono degli incompetenti, la cui corruzione rischia di minare le nostre basi. Dobbiamo punire e prevenire questo fenomeno: è un motivo di vita o di morte per il Partito”.
Se poi il messaggio non fosse stato chiaro, martedì due ex vice sindaci sono stati uccisi, condannati a morte per corruzione. Due pezzi grossi – di città importanti e rinomate, Hangzhou e Suzhou nel sud della Cina – che avevano ricamato sulle costruzioni e l’edilizia, novella pietra angolare del business di successo in Cina seppure minacciata costantemente da anatemi di bolla immobiliare.
Un caso da manuale secondo i giudici che decretarono il verdetto e ormai molto impegnati in casi di corruzione: solo nel 2010 sarebbero stati oltre 67 mila i processi istituiti. I due ex vice sindaci uccisi sono Xu Maiyong, classe 1948, che avrebbe intascato circa 300 milioni di dollari in tangenti e Jiang Renjie la cui mazzetta totale fu invece di oltre 200 milioni.
La loro storia è la punta di un iceberg: a fine giugno venne fuori il dato della People’s Bank, la banca nazionale, secondo la quale almeno 17mila funzionari di Partito, tra il 1995 e il 2008 avevano sottratto ai fondi pubblici qualcosa come 124 miliardi di dollari.
Non sono mancati nel tempo processi show o sonore condanne a personaggi ben noti, come l’ex vicesindaco di Pechino responsabile dei fondi olimpici, licenziato per un giro di tangenti o l’ex boss del Partito di Shanghai, Chen Liangyu, condannato a 18 anni per corruzione.
Sgarrare quindi è molto pericoloso e d’altronde i privilegi per i politici cinesi sono tanti: l’ultimo è emerso qualche settimana fa, quando la stampa locale si dibatteva sulle ragioni delle esplosioni dei cocomeri a causa dell’alto numero di additivi chimici (secondo il Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito, sarebbero almeno 80 quelli presenti nel cibo quotidiano in Cina). Un problema per tutti, ma non per i funzionari di partito : per loro, alle porte di Pechino, esistono supermercati di cibo organico, con verdure, carne e pesce rigorosamente controllato.
I costi della politica cinese sono stati recentemente pubblicati proprio dal Quotidiano del Popolo, un insider ufficiale: solo per i viaggi all’estero dei quadri di partito (entro il 2030 la Cina vuole mandare in altri paesi almeno il 20% dei propri funzionari) il budget annuale è di circa 6 milioni di euro, giustificati con la necessità di fare esperienze all’estero e crescere da un punto di vista politico. Il dipartimento dell’Agricoltura spende circa 20 milioni di dollari all’anno solo in auto. L’altro costo reso pubblico è stato quello delle spese di rappresentanza di ogni dipartimento.
di Simone Pieranni
Da Il Fatto Quotidiano del 21 luglio 2011