Non sarà il massimo della raffinatezza analitica, però sembra plausibile che nell’inaridimento delle capacità imbonitorie del premier Berlusconi, alla base degli esiti elettorali delle ultime elezioni amministrative e dei recenti referendum, abbiano giocato un ruolo importantissimo i carrelli sempre più vuoti nella spesa settimanale delle famiglie.
In fondo questa considerazione apparentemente banale è soltanto l’applicazione empirica di una saggia regola enunciata a suo tempo da Abramo Lincoln: «si può imbrogliare qualcuno sempre, tutti qualche volta, ma non tutti sempre».
Per dirla in un altro modo, le dure repliche della vita concreta hanno spazzato via le cortine fumogene con cui, per troppo tempo, la realtà ci era stata sottratta alla vista. La comunicazione mendace è stata smascherata nella sua opera di costruzione degli scenari virtuali a supporto della tesi che vivremmo nel migliore dei mondi possibili. I vari “mulini bianchi” dei partiti amorosi e del premier più grande della storia.
Nel frattempo quante chiacchiere fasulle siamo stati costretti a trangugiare. Ci avevano raccontato che la crisi economica mondiale era passata senza che neppure ce ne fossimo accorti. Ora scopriamo che l’Italia è a un passo dalla bancarotta greca. Ci avevano intontiti con le fanfaluche del Bel Paese saldamente posizionato nel club delle nazioni più industrializzate del mondo e ora l’economista Antonella Sbarbati spiega pacatamente nel sito di MicroMega che questo nostro Paese non è in grado di tenere in ordine i propri conti con l’estero perché importiamo più di quanto riusciamo a esportare (e gli antichi giochetti sui cambi, che chiamavamo eufemisticamente “svalutazioni competitive”, non ci sono più consentiti dalla moneta unica europea).
Ci avevano fatto ingurgitare la panzana che siamo tutti benestanti in base alle statistiche sul numero di telefonini o la percentuale di vacanze all’estero. Intanto le code dei giovani inoccupati e dei loro padri precarizzati diventavano un serpentone sempre più lungo e dolente. Il solito tricchetracche delle situazioni in cui c’è un tipo che si mangia un pollo intero, mentre il suo dirimpettaio rimane a pancia vuota, ma che vengono percentualizzate come mezzo pollo a testa.
Nelle varie modalità argomentative, nient’altro che i ricorrenti trucchi per turlupinare i soggetti più deboli; privati del bene indispensabile per mantenere l’effettiva condizione di cittadini titolari del diritto di esprimere pareri motivati: la verità.
Quei soggetti deboli che ora, secondo le ricette dei santoni liberisti dell’one best way (il “pensiero unico” applicato ai modelli economici), risultano gli unici che dovrebbero essere chiamati a pagare il conto del risanamento: allungamenti dell’età pensionabile, ulteriore contrazione dei sistemi di sicurezza sociale, ennesima svendita dei beni collettivi sotto forma di privatizzazioni all’incanto.
Queste sì, “macelleria sociale”. Altro che far pagare le tasse secondo criteri di equità distributiva (e magari a chi le evade).
Infatti questi anni sono stati caratterizzati dalla creazione di un ciclopico impero del falso che sta iniziando a sgretolarsi ruzzolando sulle ruote dei carrelli della spesa di famiglie che ormai stentano ad acquistare persino i generi di prima necessità; il cui disincanto, nel ritorno alla realtà, coincide con la dolorosa scoperta di essere state sistematicamente imbrogliate.
Ci era stato spiegato che “se l’uomo è sospeso su una rete di significati che lui stesso ha tessuto, i mezzi di comunicazione sono i filatoi del mondo”. Gli ultimi decenni hanno dimostrato la straordinaria capacità di estraniare pubblici sempre più vasti di donne e uomini finiti nei reticolati stesi dai presidiatori dei mass-media. Ma l’indignazione conseguente alla riapertura degli occhi diventerà disperazione se non trova attori politici in grado di intercettarla. Capaci di prestare attenzione alla misera spesa delle famiglie, non intenzionati ad appropriarsi dall’opposizione delle solite magie comunicative.