Look minimale: maglia nera, jeans, Samba ai piedi e l’immancabile montatura nera che gli circonda gli occhi. Il quarantacinquenne newyorchese Richard Melville Hall, meglio conosciuto come Moby, entra a L’inde Le Palais di Bologna. Alla mano, il compositore di musica elettronica, lo è anche nello stile: si siede sul tavolo e attende le prime domande, a suo agio tra i flash. E’ nella storica boutique di Via De’ Musei per presentare 20 dei 50 scatti fotografici (qui in vendita fino al 28 di Luglio) presenti nel volume “Destroyed”. Al libro, edito dalla bolognese Damiani Editore, è anche acclusa la sua ultima fatica musicale. Nessun interprete si frappone alle domande, il dialogo è diretto.
E’ l’esperienza dei luoghi (e sopratutto di quelli che Marc Augè chiama non-luoghi) il fulcro tematico del suo lavoro fotografico. “Vivere in tour è fantastico, ma strano. Dormi ogni volta in un letto diverso, non assapori mai i cibi che desideri assieme ai tuoi amici. Vivi costantemente uno spazio che appartiene a qualcun altro”. Questo senso di estraniazione, di non appartenenza, è integralmente riversato negli scatti. La mancanza viene colmata da una dimensione non spaziale:”La mia fotografia si rifugia nella dimensione intima; come la musica è un modo per dare un senso alla stranezza dei mondi in cui mi trovo”.
Moby non è solo ironico, anche modesto. Maestro di due delle quattro ars del quadrivio, e dato il suo nome all’anagrafe (Richard Melville Hall in onore del prozio autore di Moby Dick), si presuppone che anche il trivio gli sia famigliare:”Sono amico di molti scrittori (non frequento nessun musicista, l’unico musicista che conosco sono io), ma mi riesce difficile dire quali siano i rapporti che intercorrono tra parola scritta e musica. L’unica cosa che posso dire è che entrambe sono frutto di un lungo lavoro “.
Lavoro e applicazione ricorrono spesso nelle sue esternazioni. “Continuo a lavorare, sperimentare, creare nuove melodie ovunque”. Anche la fama non prescinde il lavoro: “Pensate a Madonna e a Bono. Hanno sempre lavorato. L’importante è farlo perché a te e agli altri piace quel che fai, senza pensare al successo”. Il processo artistico avviene anche la notte, l’insonnia gli è cattiva compagna da una vita e in quanto tale la schernisce: “Qualche volta è dura, altre volte è ancor più dura. Ma non me ne voglio preoccupare”. Infinite e sole notti bianche d’albergo: “A volte penso sia meglio fare hamburger” – battuta infelice, d’accordo, ma fotografa l’estenuazione. Frase ancor più incisiva pronunciata da uno che, nelle passate tournée, si procacciava oculatamente il cibo da solo; “Ora ho un’amica nutrizionista che lo fa al posto mio, è bello non doversi preoccupare di quel che mangi; essere vegetariani in Italia è un conto, in Bielorussia o in Ucraina un altro”.
Musicista e fotografo, ma anche osservatore politico. “In una scala da uno a dieci a Bush Jr darei un due, ad Obama un sette e mezzo. Gli americani sono come bambini, hanno bisogno di una guida. Il problema è che la vorrebbero più simili a una rockstar che a un politico. Obama non è una buona rockstar, ma questo non è un buon metro di giudizio”. La situazione italiana è diversa: “E’ difficile giudicare da fuori, ma Berlusconi non mi sembra avere le carte in regola per far politica; è strano che una delle persone più ricche del mondo guidi un paese. Se fosse un attore sarebbe perfetto, ma non lo è”.
Moby autografa imperturbabile volumi su volumi, sepolto dalla calca. Il pubblico è elitario, giovani se ne vedono pochi. Presenziano l’assessore alla cultura Ronchi, Silvia Evangelisti di Arte Fiera e il produttore di Vasco Rossi Guido Elmi. Ma la musica non può aspettare, Moby indossa un cappellino e si avvia verso il Museo Civico Archeologico. Location d’eccezione, perché Il contesto richiede un concerto acustico. Questa la line up: Moby, voce e chitarra; Liz Liew, violino e Joy Malcolm, voce.
Appena i 150 fortunati prendono posto, l’intramontabile Why does my heart feel so bad? si libra nel chiostro. Seguono altri classici del reportorio come We Are All Made Of Stars, Porcelain e In this world (chiosata da un impressionante acuto della vocalist). Non poteva mancare il primo singolo estratto da Destroyed: Lie down in darkness. Ma Moby sa anche stupire, le cover di Walk on the wild side di Lou Reed, Whole Lotta Love dei Led Zeppelin (interrotta da un calo di corrente) e Rings of fire di Johnny Cash coinvolgono tutto il pubblico. É Natural Blues, intrigante anche senza elettronica, a chiudere la serata.
Matteo Poppi