Se in questi giorni siete a Genova per una delle tante iniziative del decennale del G8, vi suggerisco di farvi una passeggiata a Vesima, a pochi km da Voltri.

Lì, a un passo dal mare, tra un ponte autostradale e una piccola chiesetta, vedrete spuntare tanti piccoli pezzi di terra dove, da qualche anno, si coltivano orti seguendo il metodo dell’agricoltura sinergica, che promuove meccanismi di auto-fertilità del terreno senza bisogno di arare oppure di concimare, né di separare le piante (pur facendo attenzione a collegarle in modo compatibile e collaborativo tra loro). Anzi, a Vesima c’è l’orto madre più antico d’Italia.

Avrete così modo di vedere i frutti che questi orti stanno dando: non solo prodotti buoni (ottimi!) come lattuga, cavolo, fragole, basilico, pomodori; ma molto di più, perché intorno a questi piccoli appezzamenti di terra si sta costruendo una socialità diversa, anzi, si sta ricostruendo una comunità: laddove c’erano terreni incolti e rovi, case abbandonate e semidistrutte, e un progetto di costruzione che avrebbe rischiato di spianare via l’intera valle, questi orti hanno dato la spinta ai contadini e all’associazione Terra! per ripensare la valle e renderla un luogo dove, attraverso l’autoproduzione, la vendita diretta e la coltivazione di semi usati dai propri nonni, la terra torna ad essere un luogo da abitare, custodire e conservare.

Gli orti costituiscono un punto di incontro per la comunità, un tentativo di riprogettare la vita partendo da scelte individuali e collettive: sono la migliore risposta allo sfruttamento delle terre (e del lavoro), creano un legame diretto tra chi produce e chi consuma, azzerano i kilometri spesi per trasportare il cibo da una parte all’altra del globo, annullano qualsiasi imballaggio o spreco di acqua. Ma non solo, gli orti sono delle opere d’arte a cielo aperto, in cui ogni verdura, ogni ortaggio, ogni pianta spontanea rappresenta un pezzo unico di un mosaico in continua evoluzione.

L’esperienza degli orti e dell’agricoltura urbana, seppur con qualche anno di ritardo,  si sta diffondendo molto velocemente anche in Italia. Se esistesse una mappatura, vedremmo migliaia di puntini disegnati sulla cartina dell’Italia: gruppi auto-organizzati, orti didattici, orti sul balcone, aiuole coltivati a lattuga, orti sinergici.  Tra tangenziali, cavalcavia, ponti, semafori, autostrade, ecco  apparire qua e là  un orto in tutta la sua bellezza.

E credo di poter dire che questa forma di organizzazione rappresenterà un nuovo modo di fare politica, di dare una risposta ai bisogni della collettività. Accanto alle grandi battaglie sociali, per la difesa dei diritti umani e dell’ambiente, contro la precarizzazione del lavoro e per la democrazia, nei prossimi anni dovremo imparare sempre di più a portare avanti percorsi di vita quotidiana, fatti anche di cibo sano e autoprodotto, di mobilità alternativa, di riduzione di consumi. Per farlo c’è bisogno dell’impegno e della tenacia di ognuno di noi, ma c’è anche bisogno del coraggio delle istituzioni per valorizzare questi progetti che, per crescere, hanno bisogno di impegno e cura, altrimenti rimarranno delle buone prassi con cui autoincensarsi, ma non faranno mai sistema.

Ecco, se nei prossimi giorni passate di lì, andate a visitare gli orti e vi accorgerete che lo slogan Voi la crisi, noi la speranza ideato per il decennale del G8, non è mai stato così azzeccato. Se invece non avete modo di farlo, vi consiglio di guardare questo video.

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